Tre medici a giudizio per la morte di una 46enne
di Nadia Cossu
La donna, diabetica, era stata visitata al pronto soccorso del “Segni” e dimessa Il giorno successivo era deceduta. Per il pubblico ministero fu omicidio colposo
25 febbraio 2021
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OZIERI. Era andata al pronto soccorso dell’ospedale di Ozieri perché, affetta da diabete, aveva nausea, vomito «e una glicemia oltre i valori di tolleranza – scriveva il pubblico ministero Paolo Piras titolare dell’inchiesta – con uno scompenso dal punto di vista metabolico definito “chetoacidosi diabetica”».
La paziente, una quarantaseienne di Ozieri, era stata visitata da un medico del pronto soccorso e poi dimessa. Il giorno successivo, dopo esser stata malissimo l’intera notte, era tornata in ospedale ed era stata ricoverata. Ma era morta dopo qualche ora.
Per questa tragedia sono stati rinviati a giudizio tre medici, uno per omicidio colposo e altri due per falso e oggi si terrà il processo. La posizione più grave è a carico del dottore che per primo visitò la donna e che per la Procura avrebbe «omesso di disporre ulteriori esami ematochimici, volti a evidenziare la presenza o meno di chetoni ematici e urinari». Un approfondimento clinico che per il pubblico ministero avrebbe potuto evidenziare eventuali anomali. Con la possibilità – se trattate tempestivamente e adeguatamente – di non causare la morte della paziente. «Invece – sostiene l’accusa – il medico ometteva di ricoverare la donna e la dimetteva a domicilio con la diagnosi “nausea e vomito” dopo circa due ore e mezza dall’accesso al pronto soccorso». La mattina successiva la 46enne era tornata in ospedale in condizioni gravi e a quel punto era stato disposto il ricovero nel reparto di Medicina generale. «Ma nonostante le terapie praticate, lo stato di acidosi si rivelava irreversibile e si complicava» e la paziente era deceduta.
La ricostruzione del medico del pronto soccorso accusato di omicidio colposo non combacerebbe però con quella dell’accusa. L’imputato, difeso dall’avvocato Marco Costa, ha infatti sempre sostenuto che la donna, al momento del primo accesso, avesse rifiutato la terapia consigliata e il ricovero e avesse deciso di tornare a casa. Circostanza, quest’ultima, che però non figurerebbe nel foglio di dimissioni perché il medico non lo aveva annotato. I suoi due colleghi (difesi dagli avvocati Mario Perantoni e Arianna Denule) sono finiti a giudizio per falso proprio relativamente a questo aspetto. Entrambi, per la Procura, avrebbero cioè «attestato falsamente nel verbale di accettazione al pronto soccorso (riferito al secondo ingresso della paziente, la mattina del decesso ndc) e nel diario clinico dello stesso giorno che la donna il giorno precedente aveva rifiutato la terapia consigliata e il ricovero ospedaliero presso il loro servizio. Ciò contrariamente al vero, in quanto dalla documentazione sanitaria non risultava nessuna volontà da parte dei sanitari, e in particolare del primo medico che la visitò, di ricoverarla né emergeva da parte della deceduta alcun rifiuto delle cure e del ricovero». Un dettaglio che sarebbe emerso però in aula dalle parole del marito che, incalzato dalle domande dell’avvocato Costa, avrebbe ammesso che la moglie quel giorno era voluta tornare a casa.
La paziente, una quarantaseienne di Ozieri, era stata visitata da un medico del pronto soccorso e poi dimessa. Il giorno successivo, dopo esser stata malissimo l’intera notte, era tornata in ospedale ed era stata ricoverata. Ma era morta dopo qualche ora.
Per questa tragedia sono stati rinviati a giudizio tre medici, uno per omicidio colposo e altri due per falso e oggi si terrà il processo. La posizione più grave è a carico del dottore che per primo visitò la donna e che per la Procura avrebbe «omesso di disporre ulteriori esami ematochimici, volti a evidenziare la presenza o meno di chetoni ematici e urinari». Un approfondimento clinico che per il pubblico ministero avrebbe potuto evidenziare eventuali anomali. Con la possibilità – se trattate tempestivamente e adeguatamente – di non causare la morte della paziente. «Invece – sostiene l’accusa – il medico ometteva di ricoverare la donna e la dimetteva a domicilio con la diagnosi “nausea e vomito” dopo circa due ore e mezza dall’accesso al pronto soccorso». La mattina successiva la 46enne era tornata in ospedale in condizioni gravi e a quel punto era stato disposto il ricovero nel reparto di Medicina generale. «Ma nonostante le terapie praticate, lo stato di acidosi si rivelava irreversibile e si complicava» e la paziente era deceduta.
La ricostruzione del medico del pronto soccorso accusato di omicidio colposo non combacerebbe però con quella dell’accusa. L’imputato, difeso dall’avvocato Marco Costa, ha infatti sempre sostenuto che la donna, al momento del primo accesso, avesse rifiutato la terapia consigliata e il ricovero e avesse deciso di tornare a casa. Circostanza, quest’ultima, che però non figurerebbe nel foglio di dimissioni perché il medico non lo aveva annotato. I suoi due colleghi (difesi dagli avvocati Mario Perantoni e Arianna Denule) sono finiti a giudizio per falso proprio relativamente a questo aspetto. Entrambi, per la Procura, avrebbero cioè «attestato falsamente nel verbale di accettazione al pronto soccorso (riferito al secondo ingresso della paziente, la mattina del decesso ndc) e nel diario clinico dello stesso giorno che la donna il giorno precedente aveva rifiutato la terapia consigliata e il ricovero ospedaliero presso il loro servizio. Ciò contrariamente al vero, in quanto dalla documentazione sanitaria non risultava nessuna volontà da parte dei sanitari, e in particolare del primo medico che la visitò, di ricoverarla né emergeva da parte della deceduta alcun rifiuto delle cure e del ricovero». Un dettaglio che sarebbe emerso però in aula dalle parole del marito che, incalzato dalle domande dell’avvocato Costa, avrebbe ammesso che la moglie quel giorno era voluta tornare a casa.