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Sassari, al pronto soccorso tempi di attesa disumani: anche 12 ore per chi non è gravissimo

Luigi Soriga
Sassari, al pronto soccorso tempi di attesa disumani: anche 12 ore per chi non è gravissimo

Una paziente: «Entrata alle 13,30, sono uscita alle 6 del mattino»

05 agosto 2021
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SASSARI. Chi ha la sfortuna di dover ricorrere al pronto soccorso è meglio che vada armato di pazienza e rassegnazione: così l’attesa sarà meno logorante. Dal codice verde in giù, infatti, bisogna mettere in conto circa dodici ore in cui il paziente viene valutato in cinque minuti dagli addetti al triage, dopodiché parcheggiato per metà giornata.

Il numero di accessi, in queste giornate estive, sta diventando sempre più pressante e i due medici di turno non possono reggere un simile ritmo. Giusto per capire l’incidenza sul pronto soccorso di Sassari, basta dare un’occhiata ai dati in tempo reale riportati dal monitor dell’Aou: alle 18,30 c’è un codice rosso, 16 pazienti gialli in visita e uno in attesa, dopodiché 3 verdi già in carico ma altri 21 che cucinano a fuoco lento nella sala d’attesa. Per loro il monitor prospetta un’attesa maggiore di 6 ore, che poi si tradurrà in almeno 10.

«Ho accompagnato mia figlia di 21 anni con una polmonite in atto. Siamo arrivate al pronto soccorso alle 13,30. Abbiamo esibito le lastre toraciche eseguite in uno studio privato che mostravano chiaramente la diagnosi, e in più mia figlia accusava nausea, vertigini e un fortissimo mal di testa. Al triage le hanno attribuito un codice verde. Mai mi sarei aspettata che questo colore avrebbe significato un calvario simile». Infatti la figlia entra nell’ambulatorio medico solo alle 4 del mattino. All’interno non c’è una sola barella disponibile per potersi sdraiare, in modo da alleviare le vertigini e l’emicrania. Ci si deve accontentare di una sedia, altrimenti si sta in piedi.

Invece per i parenti la sala d’aspetto è in strada, o sul marciapiedi di viale Italia, sotto l’ombra degli alberi come le greggi in estate. Oppure dentro l’abitacolo della propria auto, accendendo ogni tanto il condizionatore per raffreddare la temperatura. Nella corsia di destra, accanto alla ciclabile, c’è una fila di dieci vetture in sosta. Quando vien fuori un infermiere, tutti escono dalle auto e gli vanno incontro, come fosse il messia: quello è il momento di avere notizie dei propri cari, che per le norme di sicurezza Covid non possono essere accuditi dai propri parenti all’interno degli ambienti ospedalieri. Nemmeno un bicchiere d’acqua, perché gli estranei sono banditi dal pronto soccorso. Il pusher delle bottigliette frizzanti e naturali in verità è la guardia giurata, che impietosito dall’apprensione dei parenti, ogni tanto fa la staffetta e dà da bere agli assetati. Tra questi anche diversi anziani.

«Niente da dire sulla competenza, la disponibilità e la gentilezza del personale. È palese che la colpa di tutti questi disagi non è loro. C’è qualcosa di sbagliato nell’intero sistema, perché parliamo di tempi d’attesa disumani. Alla fine mia figlia è stata visitata, hanno confermato la polmonite, le hanno detto di proseguire la terapia antibiotica per altri tre giorni, e siamo ritornati a casa alle 6 del mattino. Ripeto, perché sembra incredibile: ingresso alle 13,30, uscita alle 6 del mattino».

I compagni di sventura sono tanti. Un babbo, nel primo pomeriggio, ha accompagnato il figlio di 15 anni che lamentava da giorni dei forti dolori intercostali. Anche per lui codice verde, e quindi la condanna a 12 ore di attesa. Infatti alle 6 del mattino sono ancora al Pronto Soccorso.

Non tutti però hanno la stessa pazienza, e c’è chi dopo sei o sette ore desiste e preferisce ritornare a casa rinunciando a una visita e a una diagnosi. Il personale è consapevole della situazione critica e di non poter garantire un’assistenza nei tempi appropriati. Così alcuni suggeriscono di rivolgersi al Pronto Soccorso di Alghero, dove le attese sono nettamente inferiori. Per chi è in grado di affrontare altri 40 chilometri, inizia l’esodo verso l’altro ospedale. Ma i posti che si liberano a Sassari non migliorano comunque granché la situazione, dal momento che ci pensano le ambulanze a sfornare ogni mezz’ora nuovi codici gialli che ingolfano l’intero sistema.

«Mia madre ha 76 anni, qualche acciacco, e abbiamo scoperto che cinque giorni fa è caduta in casa. Adesso ha un grande ematoma, è gonfia e dolorante, non riesce a camminare. Siamo arrivate al pronto soccorso attorno alle 10, e ora che sono le 17 nessuno l’ha ancora visitata. Un infermiere al triage le ha dato il codice verde, e da lì fine delle trasmissioni. Non so più niente, quando provo ad avvicinarmi per chiedere notizie mi cacciano, e per noi parenti è una situazione insostenibile. Io, disperata, ho chiamato anche i carabinieri, ma mi hanno risposto che le denunce per i disservizi del pronto soccorso sono all’ordine del giorno e c’è ben poco da fare».

La mancata attivazione delle guardie mediche turistiche nelle località costiere sta dando il colpo di grazia all’apparato dell’emergenza già vicino al collasso. Infatti i turisti o i residenti non hanno un riferimento sanitario in loco, e l’unica alternativa che gli resta è approdare al pronto soccorso. Magari per un problema facilmente risolvibile da un ambulatorio medico. Tutto questo congestiona ancora di più un imbuto già stretto, con l’assistenza dei pazienti che si complica ad ogni nuovo ingresso con tampone positivo al Covid.

Intanto il monitor del pronto soccorso, sempre ieri alle 19,15, macina impietoso: 20 codici gialli e 22 verdi. Questi devono mettersi il cuore in pace, ed è lo stesso monitor ad avvisarli: il tempo di attesa per la visita è di 10 ore. Ma alla fine saranno anche di più.

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