La Nuova Sardegna

Sassari

Prima dose di... fiducia nella vita

di Luigi Soriga
Prima dose di... fiducia nella vita

Clochard vuole vaccinarsi ma è in uno stato disumano, sporco e con ferite infette. I medici lo salvano

26 febbraio 2022
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SASSARI. Chissà se il mondo si è finalmente accorto di lui, o è lui che si è accorto del mondo. Ma era davvero tanti anni che nessuno si affacciasse sulla sua vita. Una settimana fa si è presentato all’hub vaccinale di via Marghinotti. Non sapeva cosa fosse il green pass, e quando hanno provato a spiegarglielo non ci ha capito molto: «Lo sa che quando lei prende un autobus dovrebbe avere il green pass?». Risposta: «Davvero? Io pensavo che un biglietto fosse più che sufficiente...». Però gli era giunta voce di questo Covid, e l’idea di prenderselo lo spaventava molto. Sarà che da piccolo, a causa di un febbrone (probabile meningite), era diventato sordo muto. Perciò nonostante si portasse addosso una lunga collezione di acciacchi, e il coronavirus sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi, un altro febbrone all’età di 76 anni voleva assolutamente evitarselo. «Sono qui per vaccinarmi», ha detto alla guardia giurata. Il vigilante l’ha guardato bene, scannerizzandolo dalla testa ai piedi, e ha capito subito che quella mattina l’avrebbe raccontata ai suoi bambini.

L’anziano era un fagotto di stracci inzuppati di sporcizia, che molti inverni fa erano forse degli indumenti. «Mai vista una persona in quelle condizioni igieniche», racconta una dottoressa. Appena entra nell’hub devono spalancare tutte le finestre. «Quello che colpiva di più era l’odore di putrefazione, di tessuti in necrosi. Poi ho osservato la gamba e ho capito». L’uomo zoppica vistosamente. Solleva il pantalone e all’altezza del polpaccio mostra un’ulcera profondissima, con la carne viva e il siero che gronda, e come un rivolo scivola dentro la scarpa. Come potesse ancora stare in piedi e sopportasse quel dolore, resta un mistero.

Vaccinarlo in quelle condizioni è impossibile. Prima bisogna avere una storia clinica, e prima ancora una storia umana e un nome. Ma se uno è invisibile, e si acquatta per decenni nei fondali dell’indifferenza, non è facile farlo riemergere nella superficie, così da un giorno all’altro. La dottoressa e l’infermiera fanno il primo tentativo: il telefonino. «Aveva cinque numeri in rubrica. Ma nessuno rispondeva». Intanto al box vaccinale si forma un capannello, anche gli altri medici e infermieri si mettono al lavoro. Scoprono che qualche giorno prima l’anziano era stato al pronto soccorso per medicare l’ulcera, e così risalgono alle prime informazioni. Contattano il suo medico di base. Non lo vedeva dal 2011, ma già in quel periodo aveva la lesione al polpaccio.

Rintracciano anche un figlio. «Sta dicendo che mio padre è venuto lì e vuol farsi aiutare?». Non poteva crederci. Quell’uomo aveva tagliato i ponti con il passato, con la famiglia, con il mondo. La fiducia nel prossimo è in perenne riserva fissa. Quando vede una mano che si allunga, gira bruscamente la faccia. Si è rifugiato nella sua tana, pochi metri quadrati che riempie con la meticolosità degli accumulatori seriali. Alcuni parenti vivono dall’altra parte del muro, ma lui evita qualunque contatto. Il fatto di essere sordo muto lo fa implodere ancora di più nella sua bolla di solitudine.

I soldi non gli mancherebbero: originario di Bari, ex dipendente comunale, con assegno di invalidità civile. Ma chissà se quelle risorse le percepisce, e soprattutto come le utilizza. Il suo aspetto dice tutto il contrario, è degrado in purezza. Per questo il figlio era così sbalordito. Forse, per la prima volta, un uomo che aveva chiuso la propria vita a tripla mandata, apriva un piccolo spiraglio. Una dottoressa e una infermiera entrano in punta di piedi nel suo mondo. Lo convincono prima di tutto a farsi medicare. Poi comprano dei panini imbottiti, e tutto lo staff dell’hub vaccinale, comprese le guardie della Vigilpol fanno la colletta per pagare il trasporto in ambulanza. Lo aspettano al Centro Anziani Noli Me Tollere di Sorso, per lavarlo, tagliargli i capelli, rivestirlo, e farne un’altra persona. «Quando si è ripresentato, qualche giorno dopo, per sottoporsi alla prima dose – racconta la dottoressa – nessuno l’ha riconosciuto. Una trasformazione pazzesca». Ora gli assistenti sociali proveranno a occuparsi di lui, a rimettere sui binari una vita deragliata. Sperando che il vaccino non lo protegga solo dal covid, ma sia una dose permanente di fiducia verso il prossimo.

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