La Nuova Sardegna

Sassari

«Il rogo 5 mesi fa, poi il deserto»

di Luigi Soriga
«Il rogo 5 mesi fa, poi il deserto»

I titolari delle ditte: «Tutto è fermo: niente notizie, niente risarcimenti, siamo completamente soli»

10 marzo 2022
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SASSARI. Si sono risollevati dalle macerie ognuno con le proprie forze, contando sulla tenacia, sulla voglia di ricominciare e sul sostegno e la solidarietà degli amici. Per il resto, sui capannoni distrutti il 22 settembre dal rogo di Predda Niedda, è calata una nube di silenzio e indifferenza. I proprietari di quelle attività resettate in un istante, restano nel limbo della più totale incertezza: «Da quasi sei mesi – dice Sandro Usai, responsabile della lavanderia Arte Clean – non abbiamo alcuna notizia. Nessuno ci ha detto come è scoppiato l’incendio, di chi è la responsabilità, a che punto sono le perizie. Nessuno si è degnato di comunicarci nulla: né il magistrato e né i vigili del fuoco. Il Comune è completamente latitante, come se il destino dei miei trenta dipendenti e delle trenta famiglie che campano, non sia un problema loro. I politici dopo la sfilata dei primi giorni e gli attestati di solidarietà sono spariti. Sono usciti sulle pagine dei giornali con le loro promesse di sostegni, con gli emendamenti alla Finanziaria per darci una mano, ma noi non abbiamo visto un solo centesimo. E non sappiamo nemmeno se quelle promesse avessero un minimo di attendibilità o fossero completamente campate in aria».

In questo deserto di informazioni, l’unica certezza restano i sigilli della Procura. I capannoni, che potrebbero cadere a pezzi da un momento all’altro, sono totalmente interdetti, e nessuno può avvicinarsi, tanto meno i proprietari. «Questo significa che nemmeno le assicurazioni possono svolgere le perizie – spiega Cesare Soriga, titolare della cereria Sardinia’s Candles – e dunque anche le pratiche di risarcimento sono ferme. La mia situazione ad esempio è questa: per quanto riguarda il capannone distrutto abbiamo trovato un accordo e mi sono accontentato della elemosina che mi hanno proposto. E l’ho dovuta accettare perché non potevo ancora approfittare della pazienza e della bontà dei fornitori, che hanno continuato a spedirmi la merce nonostante io non potessi pagarla. Quindi un minimo di liquidità per me era vitale. Ma con l’assicurazione resta in piedi anche il discorso dei materiali inceneriti dalle fiamme. E per mandare avanti la pratica di risarcimento occorrevano le immagini dei danni. Nessuno però autorizza l’ingresso di un fotografo all’interno dei ruderi pericolanti. Alla fine ho dovuto pagare un report realizzato con l’ausilio del drone».

Le assurdità di questa vicenda e i disagi però non finiscono qui: «Stiamo ancora pagando le utenze riferite ai capannoni crollati perché non siamo in grado di fornire un documento che attesti cosa sia successo il 22 settembre scorso – dice Sandro Usai – Non lo ha prodotto la magistratura e non lo hanno prodotto i vigili del fuoco. E così non ho nulla in mano che certifichi il disastro che abbiamo subito e che mi consenta almeno di bloccare le bollette ancora attive».

«A dicembre ho pagato l’Imu su una struttura che non esiste più – dice Cesare Soriga – avevo chiesto al Comune la possibilità di essere esentato da settembre in poi, ma non ho ricevuto alcuna risposta. Viviamo in una situazione paradossale».

«Siamo un’azienda con cinquant’anni di storia sulle spalle – dice Sandro Usai – e senza aver alcuna colpa, perché sul fronte sicurezza eravamo perfettamente a norma, ci ritroviamo a ripartire da zero con enormi difficoltà. Io non pretendo regali, ma esigo ciò che mi spetta. Non voglio niente di più di quello che avevo».

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