La Nuova Sardegna

Sassari

La storia

Sassari, le chiese romaniche dimenticate tra Li Punti e la zona industriale

di Dario Budroni
Sassari, le chiese romaniche dimenticate tra Li Punti e la zona industriale

Intitolate a Santa Barbara e Sant’Antonio, vennero costruite nel Tredicesimo secolo

01 settembre 2023
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Sassari La storia si nasconde anche tra le chiome verdi di un antico uliveto. Soffitti crollati, campanili muti, pareti inghiottite dai rovi. A due passi dai capannoni della zona industriale, dove i rumori della strada si percepiscono appena, due piccole chiese romaniche combattono una logorante battaglia contro il tempo che passa. Senza interventi di tutela, Sant’Antonio e Santa Barbara si presentano ogni anno con qualche evidente acciacco in più. Costruite nel Duecento tra le abitazioni di un piccolo villaggio chiamato Innoviu, oggi scomparso, le chiesette si trovano vicino il quartiere di Li Punti, all’interno di un terreno privato naturalmente vincolato dalla Soprintendenza. Le condizioni non sono per nulla buone. Sconosciuti al grande pubblico, i due antichi monumenti si affacciano ogni tanto sulle pagine social di chi ha a cuore il passato della città. Per il resto, tutto continua a essere avvolto dal silenzio tipico dell’incuria. Un vero peccato. Anche perché sia Santa Barbara che Sant’Antonio – belle e con le facciate miracolosamente ancora in piedi – vantano storie, particolarità ed elementi architettonici di tutto rispetto.

Storia tra gli ulivi Migliaia di auto corrono ogni giorno a una manciata di metri da loro. Ma le due chiese, immerse nella pace di un uliveto centenario, non si vedono. I ruderi si trovano a metà strada tra le case di Li Punti e la grande rotatoria di Tecnomat. Furono costruite nel corso del Tredicesimo secolo nel villaggio di Innoviu (o Innobiu o Noi Noi), in una vasta area che, come riporta anche il catalogo generale dei Beni culturali, ai tempi si presentava ricca di vigneti e di terre coltivate. «Di tale insediamento restano tracce nella toponomastica, nella grande quantità di materiali sparsi sulla superficie del terreno e nel materiale di spoglio riutilizzato» si legge nella relazione presente nel catalogo. Nelle immediate vicinanze, e sempre all’interno dell’uliveto, resistono ai secoli anche tre case padronali.

Le chiese oggi Da una parte c’è dunque la chiesa di Santa Barbara. Sovrastata da un campanile a vela e ornata con archetti pensili, è totalmente avvolta dai rovi, dai cespugli e dalle piante rampicanti. L’accesso è difficile. Al suo interno si può ammirare l’abside e ciò che resta del soffitto, con alcune travi di legno ancora al loro posto. «L’elemento peculiare era dato dai 48 bacini ceramici negli archetti» aveva scritto la studiosa Marisa Porcu Gaias in un suo libro. Dei 48, oggi, ne resta soltanto uno. Poco più in là c’è invece la chiesa di Sant’Antonio, detta anche di Noi Noi. Pure questa di modeste dimensioni, conserva i resti di una volta a botte, alcuni elementi pittorici e naturalmente il campanile a vela. Rispetto a quella di Santa Barbara, la chiesetta di Sant’Antonio ha una facciata meno decorata ed è stata più volte modificata nel corso dei secoli. Resti di un antico passato che hanno resistito allo scorrere degli anni e che rischiano però di crollare ulteriormente. I soldi e il personale da mettere in campo per la tutela dei monumenti sono ormai sempre meno, ma sarebbe opportuno trovare il modo di mettere almeno in sicurezza le strutture a cui il tempo non ha ancora dato il colpo finale.

Triste destino Non solo le chiese di Innoviu. La città e il suo agro sono disseminati di ruderi di antiche strutture. Sempre a Predda Niedda, per esempio, c’è il nuraghe di Li Luzzani. Scavato 30 anni fa, anche il grande monumento nuragico è abbandonato a se stesso. Di fronte al centro commerciale Porte di Sassari, invece, ci sono i resti di un acquedotto romano, spesso ricoperti di erbacce di rifiuti. Per non parlare poi del centro città, dove non si contano case, palazzine e vecchie fabbriche in totale stato di abbandono. Un esempio è l’ottocentesca Villa Pusino, dimenticata da decenni, in mezzo al degrado, all’ombra del ponte Rosello.

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