La Nuova Sardegna

Sassari

L’udienza preliminare

Morti di covid a Casa Serena, il pm chiede il processo per i due imputati

di Nadia Cossu
Morti di covid a Casa Serena, il pm chiede il processo per i due imputati

Nel 2020 ventidue ospiti persero la vita nella casa di riposo di Sassari. La difesa: «Quali condotte furono omesse?»

23 febbraio 2024
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Sassari Da una parte il pubblico ministero Paolo Piras che insiste sul rinvio a giudizio dei due imputati di omicidio colposo plurimo ed epidemia colposa nell’ambito dell’inchiesta per i 22 pazienti di Casa Serena morti di covid tra gennaio e aprile del 2020.

«I consulenti tecnici – dice il pm – hanno stabilito che quei decessi potevano essere evitati se fossero state adottate delle misure per scongiurare il contagio all’interno della casa di riposo». Dall’altra parte i difensori replicano: «Non furono eseguite le autopsie e a morire purtroppo furono persone che avevano la salute fortemente compromessa, e lo sappiamo perché sono state acquisite tutte le cartelle cliniche».

Il gup Gian Paolo Piana, al termine della discussione di pm e difesa, ha rinviato al 26 aprile per la decisione sul rinvio a giudizio di Francesca Maria Chessa, 61 anni, datore di lavoro della Coop.A.S. (cooperativa che aveva in appalto il servizio di assistenza agli ospiti in quella residenza) e Marco Sannino, 49 anni, responsabile dei servizi di prevenzione e protezione per la stessa cooperativa, difesi dagli avvocati Liliana Pintus, Marco Manca e Luigi Esposito. Ieri si sono formalmente costituite anche le parti civili con gli avvocati Antonio Meloni, Paolo Spano, Claudia Spezziga, Valentina Bianco, Francesco Nurra Sini, Claudio Mastandrea, Salvatore Dettori e Jose Porru.

All’epoca della prima ondata di covid, quando prevedere e gestire una situazione tanto improvvisa quanto sconosciuta era davvero complesso, ci furono tante vittime nelle case di riposo e residenze sanitarie assistenziali. Ospiti fragili e affidati alle cure degli operatori che durante la pandemia hanno lavorato giorno e notte, perennemente a rischio di contagio. Molti di quegli anziani, nei mesi più critici dell’emergenza sanitaria, hanno contratto il covid e sono deceduti. Ventidue solo nell’istituto Casa Serena di Sassari.

Alla Chessa sono contestate, oltre ai due reati principali, anche contravvenzioni sulla presunta mancata «adozione dei provvedimenti necessari affinché i lavoratori, in caso di pericolo per la diffusione del virus Sars-CoV-2 all’interno della struttura e nell’impossibilità di contattare il direttore della stessa, potessero prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo» sostiene la Procura. Ma è contestata anche l’assenza di informazioni ai lavoratori sul fatto che potessero essere «esposti al pericolo di diffusione del virus e sui comportamenti da adottare». E ancora l’omessa «fornitura agli stessi dei dispositivi di protezione individuale contro la diffusione del covid all’interno della struttura».

Allo stesso modo non sarebbero state adottate «misure collettive e individuali di protezione» ad esempio con «l’isolamento degli ospiti provenienti dall’esterno della struttura, igienizzazione degli ambienti, delle mani e degli strumenti di lavoro, creazione di un’area di isolamento dei possibili casi di pazienti infetti (...)». Non aver fornito ai lavoratori formazione e informazione sui rischi di diffusione del coronavirus e non averli addestrati all’uso dei dispositivi di protezione individuale sono condotte che, per il sostituto procuratore Paolo Piras, avrebbero determinato la morte per covid dei 22 anziani. Presunte inosservanze e omissioni che avrebbero in ogni caso causato un’epidemia tra lavoratori e ospiti.

«Il pubblico ministero Paolo Piras – ha spiegato ieri l’avvocato Liliana Pintus – sostiene che non siano state adottate le regole cautelari che forse non avrebbero evitato la diffusione della pandemia ma che magari avrebbero anche solo rallentato il contagio. Ha anche aggiunto che non era importante individuare il paziente zero né capire quale fosse il veicolo di contagio. La cosa importante per lui era sapere che quelle persone avevano contratto il covid».

La replica della difesa non si è fatta attendere: «Noi diciamo invece che è fondamentale e decisivo conoscere il veicolo di contagio – ha detto la Pintus – la Procura può accusare gli imputati di non aver posto in essere la condotta che avrebbe evitato il diffondersi del virus ma deve anche dire in cosa doveva consistere quella stessa condotta. Sapere qual è stato il veicolo è determinante». E cita un esempio al gup: «Se il covid all’interno della struttura l’avesse portato ipoteticamente il dipendente che aveva i figli piccoli io avrei potuto stabilire che dal giorno successivo non sarebbero potuti entrare a Casa Serena i dipendenti che avevano figli sotto i dieci anni. Non è accaduto. Ma d’altronde cosa si poteva sapere di tutto questo il 4 marzo o l’8 marzo del 2020?».

Il pm, per i difensori, non avrebbe spiegato «a quali regole avrebbero dovuto attenersi gli imputati per evitare il contagio. Né avrebbe spiegato quale condotta sia stata omessa a suo giudizio dai nostri assistiti». La decisione del giudice arriverà tra due mesi.

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