Sassari, il sogno di una città accessibile a tutti: «Serve una battaglia culturale»
Parcheggi riservati, barriere architettoniche, locali commerciali off limits. Francesca Arcadu racconta la vita a ostacoli delle persone con disabilità
Sassari Il parcheggio riservato? Occupato da un’auto senza cartellino. Oppure, come raccontiamo nell’articolo qui sotto, è libero, ma impossibile da raggiungere. Il bar dove passare la serata con gli amici? Sembra carino, peccato che ci sia un gradino e nemmeno una rampa per sormontarlo. La casa dei sogni? Bellissima e accessibile, il problema è che il marciapiede sotto è pieno di pali e non si può passare. Sono i mille ostacoli che si trova ad affrontare ogni giorno una persona con disabilità, quando si muove nelle strade di Sassari.
«Ci sono tante cose che facciamo, anzi no scusa, che fate ogni giorno, che nascono dalla difficoltà a immedesimarsi nelle vite delle persone con disabilità, dall’auto parcheggiata dove non si può al locale che non accessibile per chi si muove con la sedia a rotelle» spiega Francesca Arcadu, attivista per i diritti delle persone con disabilità.
La conseguenza del ragionamento è ovvia: «Innanzitutto, il problema dell’accessibilità è di natura culturale. In Italia ci sono oltre 2 milioni di persone con disabilità, siamo cittadine e cittadini uguali agli altri, ma culturalmente si tende a pensare alla disabilità come a un mondo a parte. Si immagina che le persone con disabilità si spostino soltanto fra casa e l’ospedale, che esistano finché vanno a scuola e poi, in qualche modo, scompaiano. Invece no, ci sono milioni di persone con disabilità che avrebbero il diritto, il desiderio di vivere la vita quotidiana e che fanno i conti ogni giorno con difficoltà pratiche e anche di tipo culturale, anche di accettazione da parte della società».
Francesca Arcadu conosce bene i problemi di Sassari, se si parla di mobilità, eppure non si sente di dare una bocciatura, quando le si chiede se sia una città disegnata per tutti: «In realtà ha delle grandi potenzialità di accessibilità, ciclicamente c’è un ritorno di sensibilità sul tema e arrivano degli interventi positivi: nel corso degli anni, tante piazze, penso a piazza Fiume o piazza Moretti giusto per citarne due, sono state rese accessibili, diventando spazi di socialità fruibili da tutti. E gli scivoli sono comparsi in tanti marciapiedi, certo che se poi ci parcheggiano davanti...».
Secondo l’attivista, anche le piste ciclabili e le Zone 30 hanno contribuito a rendere la città più accogliente, ma c’è ancora tanto da fare: «Un luogo simbolo, fra quelli che necessitano di essere resi accessibili? Difficile dirlo, ci sono tante e diverse esigenze. Se proprio devo sceglierne uno dal valore simbolico, dico la Fontana di Rosello. Quando ero consigliera comunale si era anche redatto un progetto per farlo, ma poi non è andato avanti». Lentamente, le cose cambiano anche nel mondo del commercio e dei locali: «Le cose migliorano, ma troppo lentamente, dei locali qui a Sassari penso appena un decimo sia facilmente accessibile. Ogni volta, scegliere dove uscire con gli amici è un trauma. Eppure, oltre che cittadini, siamo acquirenti come tutti gli altri. Non serve molto, può bastare nella gran parte dei casi una rampa amovibile, senza lavori in muratura, progetti e chissà quali complicazioni. Ma sembra che ci sia quasi una sorta di “vorrei ma non posso”».
Complicatissimo anche cercare una casa dove vivere: «Quelle di nuova costruzione, per legge, devono essere accessibili. Ma non è mica così facile: magari il marciapiede sotto è impraticabile. Quelle più vecchie, non ne parliamo nemmeno». Tutti problemi molto concreti, ma che possono essere affrontati in primo luogo sul piano culturale: «La città si può rendere accessibile, ci sono tanti esempi nel corso degli anni che lo dimostrano. Servono risorse, certo, ma serve soprattutto buona volontà e collaborazione fra istituzioni e associazioni che sono in grado di indicare le priorità e proporre soluzioni concrete».