Ridotta in fin di vita dallo zio del marito, il racconto choc della donna accoltellata
Si è aperto a Sassari il processo con rito abbreviato per tentato omicidio nei confronti di Domenico Ottomano
Sassari Una stampella per riuscire a fare qualche passo, un grande cerotto bianco sul collo a coprire i segni del catetere venoso che le viene posizionato ogni volta che fa la dialisi. Perché Roberta Mazzone, vittima di un tentato omicidio lo scorso gennaio, ha perso un rene in seguito alla violenta aggressione con un coltello subita dallo zio di suo marito, «e l’altro rene non funziona bene».
Queste sono le ferite fisiche. Poi si aggiungono quelle dell’anima, non meno dolorose, come la paura, il bisogno di assistenza e soprattutto il grandissimo dispiacere per non poter più lavorare. «Prima di quel terribile giorno facevo la badante, mi piaceva molto rendermi utile per gli altri. E invece ho rischiato di morire proprio per aver aiutato una persona, di famiglia oltretutto, a cui io e mio marito avevamo dato ospitalità. Non sapevamo che era venuto in Sardegna dopo essere fuggito dalla Puglia per via dei suoi precedenti penali. Se fosse rimasto lì lo avrebbero ucciso, ma queste cose purtroppo le abbiamo scoperte dopo».
Oggi, mercoledì 21 maggio, Roberta, 51 anni, era in tribunale, accompagnata dal marito Michele e dal suo avvocato Elisabetta Udassi. Si è costituita parte civile nel rito abbreviato che si è aperto davanti al giudice dell’udienza preliminare Sergio De Luca. Imputato di tentato omicidio è il 55enne di Bari Domenico Ottomano.
C’era anche lui nell’aula al secondo piano del palazzo di giustizia dove è arrivato scortato dagli agenti della polizia penitenziaria. Al suo passaggio nel corridoio, e anche al termine dell’udienza, il nipote – che quel 21 gennaio era al lavoro quando sua moglie fu colpita quasi a morte – si è lasciato andare a qualche sfogo contro lo zio: «Non mi guardi in faccia? Bravo – gli ha detto simulando un applauso – Non hai il coraggio di guardarmi negli occhi, vero? ». Momenti di tensione cessati solo quando gli agenti hanno portato via l’imputato.
La 51enne, molto provata dopo l’udienza nella quale Ottomano (difeso dall’avvocato Andrea Piroddi) ha depositato una memoria, ha raccontato – con la voce spezzata dal pianto – cosa accadde il 21 gennaio. «Io penso che lui abbia organizzato tutto, mi ha colpito alle spalle, da infame. Io aspettavo un pacco per conto di mio marito quella mattina, sono arrivata dal lavoro verso le 13.40. Lui mi ha chiamato per dirmi che il pacco era arrivato, sono andata verso la cucina e lui mi ha invece indirizzato verso la camera dicendomi che l’aveva messo sopra il letto».
«Era dietro di me quando mi ha colpito, mi hanno salvato il giubbotto invernale e due maglioni di lana, se non li avessi avuti sarei morta all’istante. Ho sentito una sorta di bruciore sulla schiena, all’inizio non avevo capito, poi ho poggiato la mano e ho visto che era sporca di sangue. Mi sono girata e c’era lui con un grosso coltello in mano. Gli ho detto: “Zì, cosa stai facendo?” E lui mi ha risposto: “Lo devo fare”. Ho provato a difendermi, c’è stata una lotta, mi sono accasciata sulle ginocchia, ero piena di tagli perché cercavo di proteggermi. A quel punto mi ha colpito forte in testa con il coltello che è caduto e si è rotto. Poi mi ha dato un pugno, sono rimasta stordita, ho visto uno sgabello e gliel’ho lanciato. Non so come sono riuscita ad alzarmi e ho provato anche a inseguirlo ma lui si è chiuso in casa. Poi mi sono rifugiata dalla vicina che ha chiamato la polizia».
Roberta Mazzone sa di essere viva per miracolo: «Sono rimasta ricoverata in ospedale quaranta giorni, non finirò mai di ringraziare tutti i medici che mi hanno assistito e curato ma in particolare il personale della Terapia intensiva di Sassari. Mi hanno salvato la vita e ora voglio lottare per avere giustizia».