Spiava le colleghe nei bagni dell’Università, indagini chiuse per un ricercatore
Sassari, un 50enne aveva nascosto le telecamere nelle toilettes del dipartimento di Veterinaria
Sassari Una proposta di risarcimento che dovrà essere valutata con molta attenzione. Perché nessuna somma potrà restituire la serenità a persone violate in un modo così squallido nella loro intimità.
Ieri mattina si è tenuta l’udienza predibattimentale davanti al giudice Silvia Masala nei confronti di un cinquantenne originario di Ittiri finito sotto inchiesta a gennaio del 2023 per interferenze illecite nella vita privata (articolo 615bis del codice penale).
L’uomo, all’epoca ricercatore universitario e poi professore associato nella facoltà di Veterinaria di Sassari, è responsabile di uno “spionaggio ambientale” messo in atto nei bagni del dipartimento. Sette le persone offese, tutte donne, che si sono affidate alla tutela dell’avvocato Marco Spanu che la rappresenterà come parti civili in un eventuale processo.
Risalire al suo nome non era stato molto difficile per la polizia locale di Sassari che aveva svolto le indagini: il suo volto, infatti, compariva all’inizio di ogni registrazione, probabilmente perché era troppo intento a orientare l’occhio elettronico, in modo da avere una visuale in grado di soddisfare le proprie perversioni.
Due telecamere, nascoste nei distributori dei panni di carta che si usano per asciugare le mani, erano state trovate da una dipendente della ditta di pulizie. Per mesi erano stati registrati uomini e donne che ogni giorno frequentavano le toilettes del dipartimento. E l’artefice, una volta identificato, era stato immediatamente allontanato dall’ateneo. Il 50enne si dilettava a spiare i suoi stessi colleghi, uomini e donne indistintamente, visto che i bagni non erano differenziati.
Erano circa venti le persone che avevano presentato una denuncia alle forze dell’ordine ma sarebbero almeno cinquanta quelle comparse nelle registrazioni. Avevano provveduto a tutelarsi legalmente coloro che erano state riprese in volto perché negli altri video si vedevano “solo” la parte centrale del corpo e le gambe delle vittime e non era stato quindi possibile individuarle.
L’inchiesta si è conclusa dopo mesi di indagini andate avanti nel riserbo più assoluto. Sono stati spulciati sette “terabyte” di registrazioni, un’infinità se si pensa che in un solo terabyte potrebbero essere archiviate, se ben compresse, circa 300 ore di filmati di buona qualità. Il timore iniziale, delle stesse forze dell’ordine, era che quelle immagini potessero essere state messe in rete e finite magari in siti spazzatura. Circostanza che non è stata ancora chiarita del tutto.
Dalle indagini era venuto fuori il ritratto di un personaggio diabolico che archiviava tutti i file nominandoli per singolo giorno o attività. “Grande rischio ma grande premio” aveva ad esempio intitolato un file in un giorno in cui la microcamera sarebbe caduta dall’alloggio in cui lui l’aveva riposta e, nel risistemarla, aveva evidentemente corso il pericolo di essere scoperto. Il “premio” a cui alludeva era probabilmente il risultato particolarmente soddisfacente che alla fine era comunque riuscito a ottenere.