La Nuova Sardegna

Sassari

Tribunale

Cannabis light, chiesto il rinvio a giudizio per tre imprenditori di Sassari

di Nadia Cossu
Cannabis light, chiesto il rinvio a giudizio per tre imprenditori di Sassari

A febbraio nella loro azienda di Predda Niedda erano stati sequestrati 12 chili di sativa

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Sassari Sarà il gup Gian Paolo Piana, a settembre, a decidere sul rinvio a giudizio dei tre soci dell’azienda “Giardino di Canapa” di Predda Niedda chiusa a febbraio dell’anno scorso dopo il blitz della squadra mobile di Sassari che aveva sequestrato 12 quintali di cannabis sativa. Lo scorso gennaio il sostituto procuratore Angelo Beccu – che aveva firmato il decreto di sequestro della sostanza e anche del capannone dove era conservata – aveva chiesto l’archiviazione del procedimento a carico dei soci indagati per produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti. Conclusione alla quale il pm era giunto all’esito delle due consulenze tecniche eseguite durante le indagini. Che avevano accertato, in sintesi, “l’inoffensività del fatto”.

Ma a marzo il gip Sergio De Luca aveva rigettato la richiesta della Procura, richiamando la legge 242 del 2016 (che disciplina in Italia la coltivazione della cannabis sativa) insieme a una pronuncia delle Sezioni unite della Cassazione. Lo stesso giudice aveva quindi ordinato l’imputazione coatta. Ora, a distanza di tre mesi, il decreto Sicurezza convertito in legge dal Senato alcuni giorni fa, ha definitivamente messo la parola fine a qualsiasi ipotesi di ripresa del settore. Considerato che stabilisce il divieto di «importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa coltivata, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati».

Per gli imputati, difesi dagli avvocati Antonio Secci e Lorenzo Simonetti, quella sostanza conservata in bidoni di plastica e scatole di cartone era cannabis light, era legale e infatti la utilizzavano nella loro impresa dedita alla commercializzazione dei derivati e dei prodotti correlati (oli, saponi, fibre tessili e molto altro). Dopo il sequestro operato dalla squadra mobile i soci si erano trovati in un mare di guai – e oggi lo sono ancora di più – costretti a sospendere tutte le attività, a licenziare i dipendenti, senza riuscire più a pagare nemmeno l’affitto del capannone. Nel sito internet di presentazione della società era specificato che la cannabis sativa “ha documentati effetti antinfiammatori, tranquillanti e energizzanti, antiossidanti, antiepilettici, antipsicotici, antitumorali. Combatte l’acne, e tanto altro”.

I prodotti “appartengono a varietà di cannabis sativa – aggiungevano i titolari – approvate CE e iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole. Sono venduti per uso tecnico, collezionismo e comunque in accordo agli usi di cui alla legge 242/16”. Un prodotto finale “di alto livello”, quello ottenuto, che riguardava anche la cosmesi, con creme, saponi e vari articoli in cui le caratteristiche della canapa lavorano in sinergia con le proprietà delle altre piante officinali. “L’unicità della fibra poi, la rende molto versatile per la creazione di abbigliamento e accessori con una elevata resistenza sia agli strappi che all’usura”. Ma non era bastato – e non basterà – a scongiurare la chiusura definitiva dell’attività. Il pm Beccu, riferendosi in particolare alla seconda consulenza tecnica (eseguita dalla professoressa Claudia Trignano), aveva ritenuto di dover chiedere al gip l’archiviazione del caso perché “seppure il quantitativo complessivo dello stupefacente consenta di ricavare un numero di dosi elevato – scriveva – la percentuale di principio attivo si rivela talmente infima (tra lo 0,4 e lo 0,9%) da richiederne, affinché la singola assunzione abbia un effetto drogante, un uso abnorme, spropositato e in concreto assolutamente irrealistico secondo la comune esperienza giudiziaria: ne discende l’inoffensività del fatto”. Ma il gip, al contrario, aveva ritenuto che la condotta degli imputati non rientrasse nell’ambito della legge 242/2016, che regola la coltivazione industriale di canapa per specifici usi, e che la sostanza in questione non fosse priva di efficacia drogante perché questa non dipende solo dalla percentuale di thc (“che in ogni caso – scriveva il gip – nello specifico supera sensibilmente lo 0,6 nella maggior parte dei campioni”) ma da molteplici fattori. Ora la “mazzata” – per il settore – arrivata dal decreto sicurezza diventato legge. 

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