Carta igienica con la faccia di Salvini: prosciolto imputato per diffamazione aggravata
La querelle nata sui social in una discussione sul Ddl Zan, il disegno di legge contro l’omobitransfobia
Sassari Un rotolo di carta igienica con la faccia di Matteo Salvini (nel 2021 segretario federale e leader della Lega per Salvini Premier), una discussione che nasce sui social e che – come spesso succede quando si affrontano temi legati alla politica – degenera. E così un 47enne di Sorso si è ritrovato in un’aula di tribunale a rispondere di diffamazione aggravata. Non nei confronti di Salvini ma di un’assessora comunale (all’epoca dei fatti) di Bergamo. La donna si era sentita offesa da alcune frasi che l’imputato le avrebbe rivolto nell’ambito di una “chiacchierata” sul famoso Ddl Zan (il disegno di legge contro l’omobitransfobia) nata su una pagina Facebook. “Scusate – era scritto – per un istante ho pensato fosse un tutorial quando finisce la carta igienica, e volevi farci vedere un valido metodo sostitutivo... non era per offendere ma da voi della Lega non ci si può aspettare di più”. Tanto era bastato per beccarsi una denuncia da parte dell’assessora che si è costituita parte civile con l’avvocato Carlo Bergamasco nel processo che si è concluso a Sassari.
Il giudice Antonietta Crobu ha emesso una sentenza di non doversi procedere per remissione di querela. È infatti accaduto che durante il dibattimento è stato sentito un ispettore della polizia postale che aveva svolto le indagini. Durante il controesame l’avvocato Luciano Rubattu (difensore dell’imputato) ha chiesto al teste se fosse possibile attribuire con certezza assoluta quelle frasi al suo assistito. L’ispettore ha spiegato che effettivamente i casi di hackeraggio dei profili facebook sono frequenti e di conseguenza non si può stabilire con certezza l’identità della persona. L’avvocato di parte civile a quel punto ha chiesto un risarcimento simbolico, richiesta rispedita al mittente dal momento che il 47enne di Sorso ha sempre respinto ogni responsabilità. L’istanza successiva – stavolta accolta – è stata quella di una dichiarazione formale nella quale l’imputato negava di aver mai scritto quelle frasi. L’assessora ha rimesso la querela e il processo si è chiuso. (na.co.)