La Nuova Sardegna

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Lo sport sardo ha un nuovo mito

di Mario Carta
Lo sport sardo ha un nuovo mito

Mai nelle precedenti 96 edizioni un atleta isolano era riuscito a vincere una tappa nella corsa rosa

26 maggio 2014
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SASSARI. Nella storia dello sport sardo in attesa di entrare in quella del Giro d’Italia, dove da ieri ha già infilato più di una ruota.

La prima vittoria di un ciclista sardo in 97 edizioni della corsa rosa porta la firma di Fabio Aru, capitanino dell’Astana e capitano coraggioso: ha reagito da grande e alla grande alla caduta che dopo poche tappe aveva fatto fuori il numero 1 della sua squadra, Michele Scarponi; ha stretto i denti per le ferite a un braccio, ha indossato i gradi sostenuto da tutta la squadra e sabato è asceso al Santuario di Oropa con uno scatto rabbioso nel finale. Un indizio. Poi ieri pomeriggio ha deciso che sì, era ora ed era la salita giusta per diventare grande, liberando la sua esplosione tattica, tecnica e agonistica prima nell’urlo sfogato sul traguardo e subito dopo, appoggiato alle transenne a smaltire emozioni e fatica, nelle lacrime di felicità e insieme di sfogo dedicate ai suoi compagni e alla sua Sardegna, che lo ricambia impazzita in piazza e sul web.

Non si è nascosto, Fabio Aru. Non lo ha fatto sulla salita di Pantani né tantomeno dopo la vittoria: «Sono felicissimo – le sue prime parole –, la mia vittoria è dovuta alla squadra, mi hanno sostenuto tutti, i miei compagni sono stati fantastici». Lui a fare professione di modestia ancora sfatto mentre sul palco ex campioni, tecnici ed esperti giù a pronosticargli già un futuro rosa, in rosa. «Ho ancora tanto da imparare – proseguiva il giovane di Villacidro, secondo nella classifica della maglia bianca e adesso quarto nella generale –: devo ancora crescere».

E giù tante sane lacrime, pulite come il volto di Aru e come le sue parole – sempre ribadite –, sulla necessità di un ciclismo senza aiuti. A parte quello della squadra.

Il buon Giro di Aru è stato covato durante l’inverno, con una preparazione meticolosa in quota e tredici giorni tredici di gare, per qualcuno pochi eppure decisivi.

E mentre sul palco degli esperti tivù ora c’è chi si sbilancia giurando che Aru vincerà il Giro, per lui è tempo di dediche: ai compagni e alla squadra in genere, come da prassi, alla sua ragazza come da cuore, alla Sardegna e ai suoi tifosi come da Dna.

Tutta la Sardegna si è mobilitata per te, gli fa la telecronista: «E io saluto tutti i miei tifosi. Ciao, amici». «Ajò», sbotta poi quando gli viene chiesto di dire qualcosa in sardo, prima di salire sul podio per bearsi nella prima volta tra miss e bollicine. Ajò, le tre lettere ormai meno sarde e più conosciute in Italia fra tutte, mentre l’Italia comincia ad accorgersi di lui.

Ciao Fabio, e anche ajò. Arrivederci al prossimo arrivo, ennesima partenza di una carriera appena cominciata e già meravigliosa, con le salite che il campioncino sa trasformare in velocissimi scivoli che portano alla vittoria. «Non sapevo come sarei potuto andare – ha spiegato infine Aru raccontando la sua prima volta da primo al traguardo –, sono contento ma questa vittoria non cambia niente, ho ancora tanto da imparare» eppure ieri su una salita che continua a fare la storia del Giro ha impartito una severa lezione a numerosi colleghi più accreditati di lui e da lui lasciati dietro, a guardarlo dal basso verso l’alto della salita di Montecampione prima, e del podio alla fine.

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