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ROSSI E BOLT, QUEI CAMPIONI LEGGENDARI CHE VINCONO LE SFIDE

di STEFANO TAMBURINI

di STEFANO TAMBURINI C’è una luce speciale nei loro occhi. Sono pochissimi, ad avercela una luce così; sono i campioni già diventati leggenda ancor prima di smettere di sfidare gli altri, quelli che...

31 agosto 2015
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di STEFANO TAMBURINI

C’è una luce speciale nei loro occhi. Sono pochissimi, ad avercela una luce così; sono i campioni già diventati leggenda ancor prima di smettere di sfidare gli altri, quelli che al massimo saranno nomi su un albo d’oro, senza lasciar traccia nella grande storia sportiva.

Certo, verrà anche per queste leggende il giorno di uscire di scena o – come è già capitato – di uscire sconfitti da una sfida. Ma quelli come Valentino Rossi o Usain Bolt non saranno mai perdenti, anche nei momenti più difficili.

Lo abbiamo visto in questi ultimi giorni con il velocista e ancora ieri con il pilota; uno giamaicano, l’altro italiano e così bravi a scaldare le passioni da avere sostenitori in ogni angolo di mondo.

Prendete la finale dei 100 ai Mondiali di atletica a Pechino, appena una domenica fa. Anzi, partite dalle semifinali dove erano impegnati Bolt e il suo rivale più accreditato, anzi il favorito statunitense Justin Gatlin. Bolt, reduce da uno slalom speciale fra acciacchi e ritardi di condizione, quasi inciampa in partenza: uno normale sarebbe crollato lì, invece lui va avanti, vince senza convincere e si affaccia alla finale dove l’altro, Gatlin, arriva quasi passeggiando. Sembra che non ci sia storia e invece le tre ore che passano fra le due gare diventano il momento in cui si corrono i 100 metri più lunghi di sempre: sguardi incrociati nel campo di riscaldamento, allunghi con la coda dell’occhio rivolta a quelli dell’altro. Ed è qui che Bolt vince; anzi, è qui che comincia a far perdere l’altro. E in finale li vedi i due sguardi del “prima”: uno quasi terrorizzato, l’altro con gli occhi della tigre, con quella visione, quel sogno che non si spegne mai neanche per uno come Usain che, da solo, ha già più ori in bacheca di quelli che l’Italia ha saputo conquistare nell’intera storia dei Mondiali d’atletica. Quei dieci secondi scarsi si chiudono con un testa a testa e 13 millesimi di secondo di differenza, 15 centimetri, un’inezia che scava un solco profondo fra il mito e gli altri che lo guardano festeggiare.

E prendete Valentino Rossi di ieri e di mille altre volte nel Motomondiale. Rossi ha 37 anni, ha già vinto nove titoli e cerca il decimo sfidando piloti cresciuti con il suo poster nella cameretta. Dopo due stagioni buie alla Ducati, due anni e mezzo fa è tornato alla Yamaha proprio con la pazza idea di andare oltre l’impensabile. E gli altri hanno cominciato a tremare. Questi non sono i 100 metri, qui si corrono 18 gare lunghissime da marzo a novembre: Rossi è sempre sul podio, gli altri – a partire dal campioncino Marc Marquez, vincitore degli ultimi due titoli – cadono o fanno pasticci. E poi c’è Jorge Lorenzo, il compagno di scuderia partito male ma arrivato a pareggiare i punti dopo la vittoria del Gp precedente a Brno. Ieri si correva a Silverstone, dove Rossi non aveva mai vinto e Lorenzo nelle prove aveva spadroneggiato. Sembrava una corsa segnata, poi invece accade che piove e fin dal mattino Rossi mette a punto la moto come nessuno sa fare. Ed è lì che gli altri cominciano a perdere come aveva fatto Gatlin con Bolt. Rossi in gara se ne va, domina, vince, il rivale diretto è lontano: finirà quarto a meno 12 punti. Una botta tremenda. Non possiamo sapere oggi se Valentino vincerà il decimo titolo ma una certezza c’è: le grandi imprese nascono così, ribaltando giornate buie e curando quei particolari che stanno al di là del solco della perfezione. Una linea sottile che solo pochi possono varcare.

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