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Un pallone come premio per la finale

Un pallone come premio per la finale

I ricordi di Alberto Preti, classe 1930: «Giocavamo anche di notte, al buio»

25 luglio 2016
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SASSARI. Un pallone regolamentare come premio per la squadra vincitrice, e un viaggio a proprie spese per mettersi alla prova con le realtà della Penisola al concentramento in programma a Reggio Emilia. Già, proprio Reggio Emilia, che quasi settant’anni più tardi sarà teatro dello storico scudetto vinto dalla Dinamo. Alberto Preti, classe 1930, ricorda ogni particolare con incredibile lucidità. Nato a Cagliari, trasferitosi a Sassari con la famiglia durante la guerra, fu tra i protagonisti di quell’età dei pionieri della pallacanestro sassarese. «L’arrivo in città di Van Zandt ha cambiato la storia del basket cittadino – ricorda Preti –. Noi studenti andavamo a giocare al Meridda in ogni momento libero. D’estate tornavamo dal mare la sera e ci presentavamo in campo al buio, confidando nella luna piena. Io fui l’unico liceale a venire ingaggiato dal Cus per disputare la serie C. Successivamente ho giocato in B con l’Esperia e ancora in C con Pisa».

Poi l’iscrizione all’Accademia militare di Modena, prologo di una vita da film. «Ho fatto tutta la carriera militare negli alpini – racconta Alberto Preti –, sino a diventare tenente colonnello. Sono tornato in Sardegna nel 1973 per lavorare nella base di Poglina, dove ho comprato la mia prima barca. Nel ’78 sono andato a lavorare in Arabia per sei mesi, poi al rientro con mia moglie abbiamo iniziato a costruirci con le nostre mani una barca più grande, di 14 metri. Abbiamo venduto casa e abbiamo preso il mare verso il Sudamerica. Alla fine ci siamo fermati in Costa Rica. Pensavamo di starci poco e invece abbiamo vissuto là per 18 anni, tra la barca e una casetta che nel frattempo ci eravamo costruiti».

Qualche anno fa il ritorno a Sassari, occasione per rimettere ordine nel suo infinito bagaglio di ricordi. (a.si.)

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