Caso Pantani: «Non fu omicidio»
La Cassazione mette la parola fine all’inchiesta sulla morte del campione
29 settembre 2017
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BOLOGNA. Marco Pantani non fu ucciso. Con la decisione della Cassazione che ha dichiarato inammissibile l'ultimo ricorso della famiglia del campione di Cesenatico, è definitivamente chiuso il caso giudiziario sulla sua morte ed è spazzata via ogni ipotesi alternativa all'assunzione volontaria di una dose letale di cocaina e psicofarmaci. Nessun complotto, nessun intervento estraneo, dunque, nella stanza del residence “Le Rose” di Rimini dove il corpo del ciclista fu trovato la sera di San Valentino del 2004. Era la tragica fine in solitudine di una superstar dello sport capace di esaltare l'Italia, di una carriera spezzata dal doping dopo aver scalato le vette d'Europa, raggiungendo l'apoteosi con la doppietta Giro-Tour nel 1998. Indagini, processi e accuse ne avevano fiaccato l’animo e la psiche, la droga lo aveva sconvolto, la depressione lo aveva portato a isolarsi e a detestare la bicicletta. Sulla morte scattarono subito indagini a cui venne data priorità assoluta e la squadra mobile di Rimini tre mesi dopo arrestò le persone ritenute responsabili di aver fornito a Pantani la cocaina dell'overdose letale. Seguirono i giudizi, con tre patteggiamenti e un’assoluzione in Cassazione. Ma non era abbastanza per i genitori di Marco. La mamma, Tonina, non ha abbandonato, neppure adesso, l’idea che qualcuno abbia assassinato il figlio. E così, a dieci anni dalla morte, era riuscita a ottenere la riapertura delle indagini sollevando una serie di dubbi e di questioni. La decisione della Cassazione chiude ogni questione, almeno a livello processuale.