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«Anche la Nba fa i conti con la paura»

di Andrea Sini
«Anche la Nba fa i conti con la paura»

Il tecnico olbiese Rick Fois, alla sua prima stagione nello staff dei Phoenix Suns: «Giusto pensare prima alla salute»

28 marzo 2020
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SASSARI. «La Nba si è fermata senza esitazioni dopo il primo contagio. Per la lega la tutela dei giocatori è in cima alla lista delle priorità. Ora possiamo solo stare chiusi a casa ad aspettate». Anche negli Stati Uniti, dopo le iniziali dichiarazioni del presidente Trump, Covid-19 fa rima con paura e prudenza. Il tecnico olbiese Rick Fois, che da questa stagione fa parte dei Phoenix Suns come responsabile del “player developement”, guarda fuori dalla finestra della sua casa in Arizona e prova a pensare positivo.

«In questa zona degli Usa si registrano ancora pochi casi di contagi – racconta –, ma alcune delle grandi città americane, in particolare New York e nello stato della California, sono in piena emergenza. Le restrizioni qui non sono troppe, da qualche giorno hanno iniziato a chiudere ristoranti e bar, ma diciamo che non c’è ancora questo senso di urgenza. Per come è fatta la città di Phoenix, tutto è abbastanza lontano, non ci sono le folle che si possono trovare a Manhattan. All’inizio la cosa è stata un po’ sottovalutata, ma in ogni caso si resta tra le mura domestiche».

La Nba ha deciso per la serrata in maniera improvvisa il 12 marzo, all’indomani della sospensione, pochi istanti prima della palla a due, della gara tra Oklahoma City Thunder e Utah Jazz a causa della positività al test del coronavirus da parte del francese Rudy Gobert. «L’episodio di Gobert ha provocato molto clamore – spiega Fois – e non ha fatto altro che accorciare i tempi. Chi vive nel mondo della Nba da un certo punto di vista rappresenta una cerchia abbastanza ristretta, si interagisce di continuo e il rischio di contagio è decisamente alto: inizialmente venivano fatti i testi ai giocatori prima degli allenamenti, poi sono aumentati i casi di positività tra giocatori e componenti degli staff. È normale, per persone che girano l’America e vanno a toccare anche i luoghi “caldi” del contagio».

Che percezione hanno i giocatori della Nba rispetto a un problema che dalla Cina è passato prima in Europa e soltanto dopo negli Stati Uniti? «Direi differente da squadra a squadra, da città a città. Ci sono giocatori che sono coinvolti molto da vicino, come K-A Towns di Minnesota che ha la madre in coma; a Phoenix, come ho detto, i casi sono abbastanza sotto controllo, solo da pochi giorni hanno iniziato a chiudere bar e ristoranti. È chiaro che si tende a sottovalutare la situazione sino a che non ti ritrovi con il problema dietro casa. Noi abbiamo bravi ragazzi, che si informano, ma non hanno l’esatta percezione di quanto stia accadendo. Io, che parlo costantemente con i miei genitori in Sardegna e con i miei amici, capisco molto bene la gravità della situazione. Una settimana prima della chiusura, quando in Italia l’epidemia era già scoppiata, c’è stato un meeting con gli allenatori e chiacchierando con alcuni di loro, era chiaro che non avessero idea di quanto stava avvenendo».

Difficile oggi provare a prevedere cosa accadrà. «La Nba è costretta a navigare a vista – spiega il tecnico olbiese –, si cerca di arrivare a maggio con maggior numero di informazioni possibili per poi prendere la decisione migliore, nell’interessa della lega e dei giocatori».

Per Rick Fois, 33 anni, dopo 5 anni all’università di Gonzaga, il sogno della Nba è appena iniziato. «Fa quasi sorridere in questo momento parlare di sport, ma è chiaro che sto vivendo una bellissima esperienza. Ho un accordo triennale con Phoenix e sono contento del fatto che in questi mesi siano state gettate le basi importanti per il futuro. Il taglio degli stipendi? Sono pronto a fare la mia parte, l’importante è uscire da questa situazione il prima possibile».

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