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«Smettiamo di lamentarci pensiamo a chi sta peggio»

di Mario Carta
«Smettiamo di lamentarci pensiamo a chi sta peggio»

Il ciclista di Villacidro si allena a casa. «Il Tour? Se si farà mi farò trovare pronto» Un pensiero alla famiglia, agli amici e a Bergamo: «Un abbraccio grande a tutti» 

31 marzo 2020
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SASSARI. Tutto fermo, tutti a casa. Nessuno per strada né sulla strada, chi a pedalare verso il traguardo chi ad applaudire dal ciglio, ad incitare il suo campione. Uno di questi è Fabio Aru. Avviata in Colombia la stagione che dev'essere quella del riscatto, dopo due anni neri fra guai fisici e cadute, lo scalatore di Villacidro in questi giorni è costretto ad allenarsi solo sui rulli dentro casa, a Lugano, pronto allo scatto quando la stagione potrà cominciare sul serio, cessata l'emergenza coronavirus.

Come vive questo momento Fabio Aru?

«Tutto questo era impensabile fino a un mese e mezzo fa, però è così. La situazione è difficile ma dobbiamo rispettare le regole. A partire da me, che anche se professionista non posso lavorare sulla strada».

Nessuna deroga?

«Sinceramente per me questo sarebbe stato in ogni caso un periodo di transizione, non cambia molto e anche allenarmi sui rulli come faccio a casa in questo periodo mi aiuta a mantenere la condizione, sperando che nell'arco di qualche settimana la sitazione possa tornare alla normalità».

In questo periodo dell'anno di solito è tutto un fiorire di gare e uno sbocciare di traguardi, invece questo 2020...

«È una situazione molto strana, ma personalmente la sto vivendo molto bene: c'è sempre di peggio. Anche io ho avuto i miei problemi, certo, ma non è niente in confronto a chi ora sta attraversando difficoltà ben più grandi. Chi si ritrova senza lavoro, chi ha familiari malati. Mi ritengo fortunato, nonostante sia in scadenza di contratto. Una situazione che magari dà un po' di pensieri ma non è niente in confronto ad altri problemi, a tanti lavoratori che rischiano il posto».

Com'è la situazione a Lugano, sul fronte Covid-19?

«In Svizzera è tutto chiuso, magari ci sono meno divieti rispetto all'Italia per uscire di casa ma sostanzialmente, stando a quanto leggo e vedo, la gente sotto un certo punto di vista è più rispettosa, ha più coscienza».

Come trascorrono le sue giornate?

«Leggo più del solito, vedo tanti telegiornali, mi documento e cerco di stare tranquillo. Anzi, lo sono».

E ha prestato la sua immagine per una campagna di solidarietà.

«Sì, con l'azienda di selle Pro Logo destiniamo il 20 per cento all'ospedale Sacco di Milano».

E' in contatto con la Sardegna, certo.

«Con la mia famiglia a Villacidro, sì, e con i miei amici. Anche per loro non è un periodo facile, nonostante in Sardegna non siano stati registrati tantissimissimi casi, però...»

E allora si consola in casa, beato fra le donne.

«Sì, la bimba cresce, ho Valentina vicina. Avevo in previsione di tornare in Sardegna ai primi di maggio però è tutto sfumato».

Bisogna riorganizzare tutto, anche professionalmente.

«Sì ed è difficile perché c'è tanta incertezza, calendari da rifare, programmazione da rivedere...»

La sua stagione era cominciata in Colombia, poi il coronavirus nel ciclismo ha colpito per prima proprio la sua squadra, la Uae Emirates.

«Sono rientrato dalla Colombia il 21 febbraio e il 22 è esplosa l'emergenza in Italia, poi ad Abu Dhabi. Io ero a casa, ed è notizia di questi ultimi giorni che tutti i miei compagni stanno bene e nei prossimi giorni potranno tornare a casa. Sono contento».

Cosa ha portato dalla Colombia, oltre a un po' di caffé?

«No, non ho portato caffé, l'ho bevuto lì. Buono, rimane un po' diverso rispetto all'espresso al quale siamo abituati noi, è un po' più lungo. Quando sono fuori mi piace assaggiare. Per il resto, stava andando tutto bene. Io di solito come prima fase della stagione non mi preparo per andare subito bene, gli obiettivi erano Tirreno Adriatico e Catalunya. Avevo un ottimo ritmo, con 25 giorni di lavoro in altura. Mi sentivo bene, avevo buone sensazioni, sono sicuro che avrei potuto fare una discreta Tirreno ma è stato tutto annullato»,

Anche le olimpiadi slittano. Erano uno dei suoi obiettivi stagionali.

«Era una decisione necessaria, per permettere a tutti di competere nelle stesse condizioni, sia per chi deve ancora lottare per qualificarsi che per gli altri. Ed era una decisione necessaria anche sotto il profilo della sicurezza, della salute».

In Francia al Tour ci credono ancora, vogliono farlo. Lei sarebbe pronto?

«Mi devo far trovare pronto per quando si potrà tornare a correre, se possibile farò parte della stagione, sperando che tutto vada per il meglio».

Lei è uno scalatore, questa del coronavirus è una salita difficile: come si scollina?

«Bisogna pensare sempre a chi sta peggio. Ho tanti amici a Bergamo, uno dei focolai, e la situazione è tragica, le pompe funebri non riescono a star dietro ai morti. Pensiamo a chi sta peggio. Mando un abbraccio grande a chi è in difficoltà a livello lavorativo, ci tengo. Pensiamo sempre che ci si può rialzare. Bisogna crederci».

La crisi non è solo sanitaria, è anche economica. Nel calcio si parla di riduzione di stipendi, e nel ciclismo?

«Sono in scadenza di contratto ma non metto questo argomento come una priorità. Tutto il mondo si sta ridimensionando e anche lo sport dovrà farlo. Potrebbero esserci dei ridimensionamenti in proporzione anche nel ciclismo, l'importante è avere possibilità di ripartire, una volta che ci saranno garanzie per la salute. Ma ci sono tante persone in difficoltà e quando vedo gli sportivi che si lamentano e basta mi dà fastidio. Ma stai buono, dico, e pensa a chi non è così fortunato come te».



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