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Addio a Sabia, atleta olimpico stroncato dal Covid-19 a 56 anni

ROMA. Donato Sabia - stroncato ieri a Potenza dal coronavirus - era uno di quelli della generazione d'oro dell'atletica leggera italiana. Un lucano, schivo, timido, testardo, dal cuore grande. Un...

09 aprile 2020
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ROMA. Donato Sabia - stroncato ieri a Potenza dal coronavirus - era uno di quelli della generazione d'oro dell'atletica leggera italiana. Un lucano, schivo, timido, testardo, dal cuore grande. Un uomo che non ha mai accettato i compromessi del doping. Un mezzofondista che raggiunse due finali olimpiche negli 800 (quinto a Los Angeles '84 e settimo a Seul '88), che fu più volte campione italiano e che fu campione europeo indoor a Goteborg sempre negli 800 e sempre nel 1984, il suo anno magico. Se non fosse stato per quei tendini «di seta», avrebbe forse ottenuto risultati ancora più prestigiosi.

Ieri, a 56 anni, nell'ospedale San Carlo del capoluogo lucano, dove era ricoverato da un paio di settimane, anche Donato Sabia, pochi giorni dopo il padre, è entrato nel lunghissimo elenco delle vittime del coronavirus. Nato a Potenza nel 1963, Sabia cominciò la sua carriera da quattrocentista quasi per caso, passando dal calcio all'atletica. I primi successi nelle categorie giovanili lo proiettarono all'attenzione nazionale, tanto che si trasferì a Formia, al Centro tecnico degli azzurri. Lì conobbe e divenne amico di Pietro Mennea, lì Carlo Vittori e Sandro Donati intuirono e plasmarono il suo talento che lo portò a detenere per quasi 30 anni il record mondiale dei 500. Ma la sua gara era quella del «doppio giro». Nel magico 1984, oltre a Goteborg e Los Angeles, ci fu anche Firenze dove fece registrare un grande tempo, ancora oggi il terzo italiano di sempre sugli 800. Poi, proprio quando avrebbe potuto spiccare definitivamente il volo, gli infortuni ne rallentarono la carriera e lo spinsero a dire «no» al doping. «Un grande italiano», le parole del ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora.



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