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Biliardino e “totoDinamo” per coprire le prime spese

di Andrea Sini
Biliardino e “totoDinamo” per coprire le prime spese

Un gruppo di liceali si innamora del basket e “occupa” il campo di San Giuseppe È la cellula che il 23 aprile 1960 in via Carlo Alberto darà vita alla nuova società

20 aprile 2020
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SASSARI. Una palla di cuoio ben ingrassata come bene di primaria importanza, tanto impegno per tenere vivi progetti e sogni, ma dove la passione non arriva, a volte si può sopperire con l’inventiva. Anche mettendo a rotolare la palla...sbagliata.

La chiameremo Dinamo. Sessant’anni fa, proprio in questi giorni, un gruppo di adolescenti sassaresi inizia a frequentare il campetto all’aperto delle scuole di San Giuseppe. Studiano in 5ª ginnasio, al liceo Azuni, distante poche centinaia di metri, e sono tutti appassionati di pallalcesto. Tra qualche giorno, il 23 aprile 1960, metteranno nero su bianco il frutto della loro passione battezzando una nuova società di basket. La chiameranno Dinamo.

Niente calcio. «Tutti i ragazzini erano appassionati di pallone, noi però più che calciarlo e vederlo rotolare preferivamo vederlo rimbalzare ed entrare nel canestro». Bruno Sartori e Rosario Cecaro, due di quegli adolescenti pieni di inventiva, oggi hanno superato i 75 ma ricordano tutto di quelle giornate di 60 anni fa. «Ci conoscevamo dalle medie, la passione per la pallacanestro ce l’aveva trasmessa un docente di educazione fisica, Giovanni Fadda, che ci aveva insegnato i fondamentali del gioco, sia a scuola che fuori orario. Una volta passati alle superiori eravamo ormai tutti d’accordo: quello era il nostro sport».

L’arena dei sogni. I conti sono presto fatti: a Sassari i canestri si possono contare sulle dita di due mani. C’è la palestrina della Gil, il campetto del Meridda, ma non è facilissimo accedervi. Però all’Azuni non c’è una palestra per l’educazione fisica maschile e gli studenti si trasferiscono per l’ora di ginnastica nella minuscola palestra delle vicine scuole elementari di San Giuseppe. «Qualcuno di noi allungò un occhio – sorride Sartori – e notò che sull’altro lato dell’edificio c’era un campetto da basket. Fu sufficiente uno sguardo d’intesa: quello stesso pomeriggio ci ritrovammo là e iniziammo a giocare. Di fatto ci impadronimmo di quel campetto. Quando i cancelli erano chiusi, semplicemente scavalcavamo il muro. Eravamo giovani, ce lo potevamo permettere». La voce iniziò a girare in città e la comitiva della 5ªE iniziò a “ricevere” visite: studenti di altre classi che arrivavano a sfidarli. «Era un basket sicuramente rudimentale – dice Cecaro –, ma nessuno ci stava a perdere e venivano fuori partite combattutissime».

I pionieri. Sono giovani di buona famiglia, e anche se in tasca hanno pochi spiccioli, le idee sono chiarissime. Quando capiscono che è il momento di fare sul serio, nasce la Polisportiva Dinamo. Nel primo documento ufficiale, redatto il 23 aprile in una soffitta sopra casa di Giovanni Pilo, in via Carlo Alberto, ci sono scolpiti i nomi dei dieci soci fondatori: Piero Barracani, Rosario Cecaro, Graziano Bertrand, Antonio Manca, Giovanni Pilo, Bruno Sartori, Antonio Lavosi, Roberto Centi, Francesco Soccolini e Salvatore Virdis.

L’oggetto più prezioso. In città c’è un solo negozio che vende attrezzatura sportiva: l’insegna, esistente ancora oggi, dice “Pasquali”. Nessuno ricorda chi (e quando) acquistò il primo pallone, ma l’importanza di questo costoso oggetto di cuoio è testimoniata dal verbale di una delle prime riunioni, nel quale si stabiliva chi avrebbe dovuto custodirlo, gonfiarlo e ingrassarlo. «Ma in realtà – ricorda Sartori – lo teneva sempre mio cugino Piero Baraccani, che era il segretario factotum della società e per i primi 5 anni di vita della Dinamo fu una vera e proprio colonna, una figura insostituibile».

Il calcio balilla. Dopo le prime riunioni nella soffitta di via Carlo Alberto, i dirigenti della Dinamo fanno un ulteriore passo: «Prendemmo in affitto un locale all’ultimo piano in un palazzo di via Roma, poco prima di via Mazzini – dice Rosario Cecaro –. Era composto da due stanze e un bagnetto. In una stanza c’era la segreteria, nell’altra una specie di sala-riunioni, nella quale mettemmo anche un calcio balilla. Era una scusa come un’altra per allargare il giro e attirare da noi in sede anche ragazzi che non facevano parte del nostro giro. Ogni scusa era buona».

Conti&bilanci. L’attrezzatura non è l’unica spesa. Da inserire a bilancio (o forse no...) ci sono anche 1.500 lire alla settimana che vengono passate al custode della Gil per aprire la palestra nel pomeriggio, per gli allenamenti. Non tutte le settimane in cassa ci sono soldi sufficienti per far fronte alle spese, ma Bertrand è uno dotato di buona inventiva: sua mamma ha un grosso salvadanaio, pieno di monete... «Qualche volta – ride di gusto Sartori – Graziano si trasformava in scassinatore, si armava di coltello e tirava fuori quello che ci serviva». Non risulta che venne mai scoperto, e la Dinamo continuò a saldare con regolarità i propri debiti.

Il “totoDinamo”. C’è della genialità, più che inventiva, in un’altra fonte di finanziamento ideata per tenere in ordine i conti. Nessuno di loro ama il calcio, però... «Ogni settimana qualcuno di noi andava in un bar e prendeva una mazzetta di schedine del totocalcio – raccontano Sartori e Cecaro –. Iniziammo a scommettere tra di noi sulle partite. Chi otteneva più punti intascava metà del montepremi, l’altra metà andava nelle casse della Dinamo». Il giro si allargò ad altre classi dell’Azuni e per la società fu la salvezza.

La serie A, lo scudetto e l’Eurolega sarebbero arrivati quasi mezzo secolo più tardi, ma oggi sappiamo che la strada verso la gloria fu aperta, spianata e puntellata anche con trovate geniali, a metà strada tra una versione light del “totonero” e una specie di fantacalcio d’antan.

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