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Padre e figlio in biancoblù la “saga” degli Angius

di Andrea Sini
Silvio Angius in azione
Silvio Angius in azione

Silvio, classe 1941, è stato il primo vero fuoriclasse della società sassarese Luca ha vissuto da protagonista le prime stagioni nel campionato di serie A2

21 aprile 2020
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SASSARI. Negli anni eroici dei campionati giocati all’aperto, una statura leggermente al di sopra della media poteva essere sufficiente come lasciapassare per entrare in campo di pallacanestro. Ma tra una comparsa e un giocatore vero – anzi, una vera a propria stella locale – la differenza salta agli occhi.

Il primo salto di qualità. Sono i primi Anni Sessanta e la neonata Dinamo, battezzata il 23 aprile 1960, inizia a competere a livello regionale, con risultati e seguito via via crescente. Nel 1966 però sul cemento del Meridda esplode la prima “bomba”: la squadra di coach Cosimo Zoagli e dei vari Adriano Mazzanti, Bruno Maiorani, Giuseppe Pilo, Paolo Maninchedda e Gianni Columbano viene promossa per la prima volta nella serie C nazionale. È una svolta epocale, intanto perché la Dinamo si trasferisce finalmente al coperto, nella palestra Coni; e poi va sul “mercato” alla ricerca di giocatori di livello. Dalla Penisola arrivano Bruschi e Di Simplicio, ma il vero colpo è un altro: dall’Olimpia Cagliari, reduce da alcune stagioni da protagonista nella seconda serie, arriva un prodotto sassaresissimo.

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Profeta in patria. «Ero più alto della media, è vero, e con la palla in mano me la cavavo». Silvio Angius, 79 anni, neppure oggi riesce ad attribuirsi il valore che chiunque l’abbia visto giocare gli riconosce. La prima vera stella della storia biancoblù superava abbondantemente l’1,90, possedeva ottimi fondamentali ed emergeva grazie all’innata dote di staccare al momento giusto per andare a rimbalzo. «Facevo canestro dalla media, sapevo palleggiare ma soprattutto saltavo sistematicamente un attimo prima dei miei avversari e riuscivo a stare in aria una frazione di secondo in più. Non so quanti canestri ho segnato in tap-in». Una marea, dicono i testimoni oculari di quest’epoca fatta di ginocchia sbucciate e passione. «Era passione pura – assicura Silvio Angius, che nel 1962 indossò l’azzurro della nazionale sperimentale –, in tutta la mia carriera non ho mai preso una lira di rimborso, quando ho giocato a Cagliari ero riuscito a ottenere almeno vitto e alloggio. Alla Dinamo regolarmente ci quotavamo anche noi giocatori, per contribuire alle spese. Una cosa normalissima per quei tempi, e ciò che nella Dinamo ha sempre fatto la differenza è stato questo spirito di coinvolgimento, questa purezza. Si seminò bene sin dall’inizio, in questa società, e i frutti si vedono ancora oggi: anche dall’avvento di Milia in poi, quindi con l’arrivo del semiprofessionismo e del professionismo, la passione è rimasta la motivazione principale».

Una saga familiare. La storia della famiglia Angius è una storia di “prime volte” legate alla Dinamo. Se Silvio è stato la prima stella biancoblù di ogni tempo, suo figlio Luca è stato il primo sassarese a riuscire a imporsi in serie A con quella stessa maglia. «Era solo la A2 – precisa però Luca, classe 1970 – e prima di me erano stati in prima squadra Luciano Molle e Pasqualino Mura». Anche la modestia, oltre al talento si tramanda di padre in figlio. Le cose stanno così: nella stagione 1989-’90 la Dinamo Banca Popolare di Sassari disputa il suo primo campionato di A2 e aggregati alla prima squadra ci sono Molle e Mura: il primo non debutterà mai in una gara di campionato, trovando però spazio in campo nella sfida di coppa Italia contro la Philips giocata a Milano; il secondo giocherà una unica partita, 13 minuti e 3 punti segnati, il 23 dicembre 1989, in casa della Jollycolombani Forlì di coach Virginio Bernardi e delle stelle Dean Garrett e John Fox.

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Luca “la bomba”. Nel 1990-’91 la Dinamo si riprende Angius junior dal Sant’Orsola, dov’era cresciuto, e lo mette agli ordini di coach Giulio Melilla, come terzo play alle spalle di Lino Lardo e Fulvio Mazzitelli. Indosserà la casacca biancoverde per le successive 5 stagioni, alternandosi nei ruoli di guardia e play. Ecco, dunque, prima di Emanuele Rotondo, Dario Ziranu, Massimo Chessa e Marco Spissu, un sassarese in pianta stabile in prima squadra in serie A. «Sono stati anni favolosi – ricorda Luca –, in estate si facevano ritiri lunghissimi, per oltre un mese si stava a contatto con i compagni e si faceva gruppo. Gli americani in squadra erano due e quello era il punto di equilibrio perfetto, perché da un lato quei due stranieri erano fortissimi, dall’altro gli italiani avevano la possibilità di trovare spazio e quindi di crescere. Ho avuto come compagni di squadra giocatori incredibili, su tutti Anthony Frederick (scomparso nel 2003, ndr) e Dallas Comegys, ma anche Casarin, Bonino, Mastroianni. E ho avuto la possibilità di sfidare gente come Myers, Abbio, Morandotti, Dawkins, Darren Daye. Insomma, mi sono divertito. E il ricordo più bello è il boato del palazzetto quando infilavo una bomba. Ho sempre sentito grande affetto da parte del pubblico».

La terza generazione. Silvio Angius, soddisfatto della sua carriera e stanco delle talloniti causate dalle famigerate Superga, si è ritirato a 32 anni, dopo il milionesimo tap-in, facendo da chioccia alla nidiata successiva: quella dei Pirisi, Guarino, Milia, Pellicano e Satta. Luca ha continuato a fare faville nelle “minors”, portando in giro per tutti i campi sino a 40 anni la sua favolosa meccanica di tiro: rilascio rapidissimo, frustata di polso e rotazione a mille all’ora della palla. Suo figlio Riccardo, classe 2007, tifosissimo della Dinamo, dicono che prometta bene. Possiede qualche dote di famiglia? Nonno Silvio, che non perde una partita del nipote, e babbo Luca, danno la stessa risposta disincantata: «Ha di sicuro la dote che avevamo noi: la passione per la pallacanestro».
 

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