«Lo spirito di gruppo è la forza del Banco»
Andrea Sini
Parla Miro Bilan, candidato al premio di Mvp del campionato
29 aprile 2021
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SASSARI. «Quando nasci a Šibenik, nel tuo dna ci sono due cose: il basket e Drazen Petrovic». Da Šibenik (Sebenico, in italiano) è iniziata anche l’avventura di Miro Bilan, che da due stagioni dà spettacolo nell’area colorata con la maglia della Dinamo e in questi giorni è stato inserito nella cinquina dei candidati come Mvp della serie A.
È lei il miglior giocatore del campionato?
«Non sta a me dirlo. Sono abbastanza grande per non farmi turbare da certe cose, di sicuro è bellissimo venire inserito nella lista. È ovvio che mi piacerebbe vincere, ma siccome non decido io, l’unica cosa che posso fare è continuare a giocare. In ogni caso tutti i giocatori in nomination meriterebbero questo premio e ognuno di loro può vincerlo».
Lei è nato e cresciuto e Šibenik, la città di Drazen. La presenza di questa leggenda del basket mondiale si sente ancora a quasi 30 anni dalla sua morte?
«La prima volta che sono andato a fare un allenamento fu in un palazzetto enorme, ed era il campo in cui lui si allenava e giocava a inizio carriera. Lì c’è ancora la sua maglia appesa, tutti ti parlano di lui, delle sue partite, delle sue storie, e sono tutti racconti di prima mano».
Che storie sono?
«C’è l’anziano che lo ha allenato da bambino, il vecchio compagno di squadra che ricorda come andasse da solo ad allenarsi alle 6 del mattino, il tifoso che era lì quando la squadra della nostra città, che è una piccola città, vinse il titolo jugoslavo grazie a due tiri liberi di Drazen. Da noi quando inizi a giocare a basket sai già tutto di lui e delle sue incredibili partite, ce l’hai dentro e vuoi diventare come lui. Rappresenta un esempio e una motivazione. È un mito, una leggenda per la nostra nazione e mi fa piacere che sia conosciutissimo anche in Italia».
Lei è soddisfatto della sua carriera?
«Sì, decisamente. Ho giocato tante competizioni importanti, ho vinto un bel po’ di trofei, anche in Francia e in Italia. C’è una cosa che mi manca: una medaglia con la nazionale. Ho quasi 32 anni, non so se ne avrò la possibilità, ma mi resta questo sogno da realizzare».
Andiamo al presente: dopo un periodo complicatissimo, la Dinamo si è rimessa in moto.
«Ci sono state alcune settimane, dopo che siamo rientrati dalla quarantena, in cui abbiamo davvero fatto fatica. È stata dura, con 7-8 partite in tempi ristretti e i viaggi non abbiamo avuto tempo per allenarci insieme. Poi Spissu e Katic hanno avuto bisogno di un po’ di tempo per riprendere il passo. Abbiamo perso tante partite, eravamo tutti nervosi, siamo usciti dalla Champions League. Ci serviva solo tempo e un po’ di pazienza, allenarci di nuovo tutti insieme è stato fondamentale. Ma anche nei momenti più difficili ho sempre pensato positivo. E ora direi che siamo tornati quelli di 2-3 mesi fa».
Durante la stagione siete passati attraverso mille traversie. Quale è stato il segreto per ripartire ogni volta?
«Non è stato un percorso facile: abbiamo avuto infortuni seri, abbiamo cambiato giocatori e ogni volta che inserisci un elemento nuovo la chimica va ritrovata. Serve tempo per sistemare le cose, ognuno si deve adattare. Una bella sfida, ogni volta, ma l’atmosfera nello spogliatoio, il rapporto con Poz e lo staff, il fatto che tutti noi amiamo stare insieme e allenarci, ha fatto la differenza nelle difficoltà».
Dopo due anni in Italia, che giudizio dà del campionato?
«La serie A non è affatto male. Ci sono tanti stranieri, tanti americani e non ci sono mai partite facili. Anche le squadre apparentemente in difficoltà vanno affrontate con attenzione, non a caso i risultati a sorpresa non mancano mai. Credo che nonostante le difficoltà generali sia venuta fuori una stagione interessante, con tante squadre in lotta per i playoff e altrettante per non retrocedere. È un peccato che non ci siano i tifosi per apprezzare lo spettacolo, ma sapevamo che sarebbe stato così».
Chi la spunterà alla fine?
«Milano ha budget, organizzazione e giocatori, ma non è l’unica. C’è la Virtus e ci sono altre buone squadre, tra le quali noi. È ancora tutto da giocare».
Come si trova a Sassari?
«Mi mancano tanto i tifosi alle partite, la scorsa stagione ho avuto modo di apprezzarne il calore. Ma devo dire che il supporto si sente lo stesso, qua in città ovunque vada c’è sempre qualcuno che ha una buona parola nei confronti della squadra e anche nei momenti complicati gli incoraggiamenti non sono mai mancati. È molto bello stare in un posto in cui il basket viene vissuto in questo modo».
Ci sarà anche l’anno prossimo?
«Questa è la parte della stagione in cui tutti iniziano a interrogarsi sul futuro, i tifosi parlano di chi vorrebbero tenere e chi prenderebbero. Ma alla fine gli accordi non si fanno adesso, è possibile che si parli con la società ma sino a fine stagione non sarà possibile fare un ragionamento concreto. Quindi al momento non ha senso pensarci troppo, godiamoci questo finale di stagione e poi si vedrà».
È lei il miglior giocatore del campionato?
«Non sta a me dirlo. Sono abbastanza grande per non farmi turbare da certe cose, di sicuro è bellissimo venire inserito nella lista. È ovvio che mi piacerebbe vincere, ma siccome non decido io, l’unica cosa che posso fare è continuare a giocare. In ogni caso tutti i giocatori in nomination meriterebbero questo premio e ognuno di loro può vincerlo».
Lei è nato e cresciuto e Šibenik, la città di Drazen. La presenza di questa leggenda del basket mondiale si sente ancora a quasi 30 anni dalla sua morte?
«La prima volta che sono andato a fare un allenamento fu in un palazzetto enorme, ed era il campo in cui lui si allenava e giocava a inizio carriera. Lì c’è ancora la sua maglia appesa, tutti ti parlano di lui, delle sue partite, delle sue storie, e sono tutti racconti di prima mano».
Che storie sono?
«C’è l’anziano che lo ha allenato da bambino, il vecchio compagno di squadra che ricorda come andasse da solo ad allenarsi alle 6 del mattino, il tifoso che era lì quando la squadra della nostra città, che è una piccola città, vinse il titolo jugoslavo grazie a due tiri liberi di Drazen. Da noi quando inizi a giocare a basket sai già tutto di lui e delle sue incredibili partite, ce l’hai dentro e vuoi diventare come lui. Rappresenta un esempio e una motivazione. È un mito, una leggenda per la nostra nazione e mi fa piacere che sia conosciutissimo anche in Italia».
Lei è soddisfatto della sua carriera?
«Sì, decisamente. Ho giocato tante competizioni importanti, ho vinto un bel po’ di trofei, anche in Francia e in Italia. C’è una cosa che mi manca: una medaglia con la nazionale. Ho quasi 32 anni, non so se ne avrò la possibilità, ma mi resta questo sogno da realizzare».
Andiamo al presente: dopo un periodo complicatissimo, la Dinamo si è rimessa in moto.
«Ci sono state alcune settimane, dopo che siamo rientrati dalla quarantena, in cui abbiamo davvero fatto fatica. È stata dura, con 7-8 partite in tempi ristretti e i viaggi non abbiamo avuto tempo per allenarci insieme. Poi Spissu e Katic hanno avuto bisogno di un po’ di tempo per riprendere il passo. Abbiamo perso tante partite, eravamo tutti nervosi, siamo usciti dalla Champions League. Ci serviva solo tempo e un po’ di pazienza, allenarci di nuovo tutti insieme è stato fondamentale. Ma anche nei momenti più difficili ho sempre pensato positivo. E ora direi che siamo tornati quelli di 2-3 mesi fa».
Durante la stagione siete passati attraverso mille traversie. Quale è stato il segreto per ripartire ogni volta?
«Non è stato un percorso facile: abbiamo avuto infortuni seri, abbiamo cambiato giocatori e ogni volta che inserisci un elemento nuovo la chimica va ritrovata. Serve tempo per sistemare le cose, ognuno si deve adattare. Una bella sfida, ogni volta, ma l’atmosfera nello spogliatoio, il rapporto con Poz e lo staff, il fatto che tutti noi amiamo stare insieme e allenarci, ha fatto la differenza nelle difficoltà».
Dopo due anni in Italia, che giudizio dà del campionato?
«La serie A non è affatto male. Ci sono tanti stranieri, tanti americani e non ci sono mai partite facili. Anche le squadre apparentemente in difficoltà vanno affrontate con attenzione, non a caso i risultati a sorpresa non mancano mai. Credo che nonostante le difficoltà generali sia venuta fuori una stagione interessante, con tante squadre in lotta per i playoff e altrettante per non retrocedere. È un peccato che non ci siano i tifosi per apprezzare lo spettacolo, ma sapevamo che sarebbe stato così».
Chi la spunterà alla fine?
«Milano ha budget, organizzazione e giocatori, ma non è l’unica. C’è la Virtus e ci sono altre buone squadre, tra le quali noi. È ancora tutto da giocare».
Come si trova a Sassari?
«Mi mancano tanto i tifosi alle partite, la scorsa stagione ho avuto modo di apprezzarne il calore. Ma devo dire che il supporto si sente lo stesso, qua in città ovunque vada c’è sempre qualcuno che ha una buona parola nei confronti della squadra e anche nei momenti complicati gli incoraggiamenti non sono mai mancati. È molto bello stare in un posto in cui il basket viene vissuto in questo modo».
Ci sarà anche l’anno prossimo?
«Questa è la parte della stagione in cui tutti iniziano a interrogarsi sul futuro, i tifosi parlano di chi vorrebbero tenere e chi prenderebbero. Ma alla fine gli accordi non si fanno adesso, è possibile che si parli con la società ma sino a fine stagione non sarà possibile fare un ragionamento concreto. Quindi al momento non ha senso pensarci troppo, godiamoci questo finale di stagione e poi si vedrà».