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Quinzi: «Mi ritiro, col tennis ho chiuso»

di Stefania Puorro
Quinzi: «Mi ritiro, col tennis ho chiuso»

L’ex re di Wimbledon Junior dice addio all’attività agonistica: «Sto studiando scienze motorie, farò il manager dello sport»

01 luglio 2021
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OLBIA. Nei suoi occhi, in questi giorni, c’è una luce speciale. In quello sguardo si legge un’emozione forte, perché lui, Wimbledon, ce l’ha nel cuore. E ancora oggi, a distanza di 8 anni, rivive quel momento unico, che si porta dentro, che lo fa commuovere. Era il 2013. Gianluigi Quinzi, 25 anni, uno dei tennisti più forti in assoluto del panorama giovanile italiano, fu incoronato re di Wimbledon Junior. «Non è da tutti - dice -. Nei miei obiettivi di allora c’era una vittoria nello Slam, ma avrei mai creduto di portarla a casa proprio nel torneo più prestigioso in assoluto. E’ stata una gioia immensa, ma è stata anche un’emozione grandiosa per la realtà dalla quale provengo, Porto San Giorgio, anche se sono nato a Cittadella».

Ma quel mancino che da ragazzo ha strapazzato tanti avversari, oggi ha detto basta. Era nell’aria, perché voci e smentite circolavano da tempo, ma mancava la certezza. Ed è arrivata proprio da lui, sui campi del Tc Terranova di Olbia, dove sta allenando un 2.4 di Milano, uno dei più forti 2005 d’Italia.

Allora, hai proprio deciso?

«Sì, non è stata una decisione facile, l’ho presa nel novembre scorso. Ci stavo pensando da parecchio, col tennis ho chiuso. In futuro non so cosa potrà accadere, ma per ora sono sicuro di aver fatto la scelta giusta».

Le ultime tue partite risalgono al 2018. Poi più niente.

«Entrare in campo era diventato un dovere, una sofferenza. Non c’erano più passione e divertimento. Nel momento in cui mi sono reso conto di non riuscire a entrare nei primi 100 (il suo miglior ranking lo ha ottenuto proprio nel 2018 raggiungendo il 140° posto nella classifica Atp ndr) ho detto a me stesso che dovevo riflettere e capire che cosa fare. Avevo troppe aspettative, non riuscivo a gestire l’ansia, non riuscivo a resettare e a ricominciare con entusiasmo. Quando vinci tanto da giovane, perdere diventa una tragedia. E per me è stato così. Mi è mancata la sicurezza a lungo termine e dopo 20 anni di sacrifici non ero più convinto dei miei obiettivi».

Eppure proprio il 2018 sembrava l’anno della ripartenza, della svolta.

«Sì, è stato stupendo. Due Challenger vinti, una finale e una semifinale conquistate. Poi mi sono fermato per una microfrattura da stress al piede e quando ho ripreso a giocare non ero più sereno. Ho fatto qualche torneo girando da solo, senza allenatore, perché dovevo capire se il tennis facesse davvero per me. Poi ho deciso. E adesso penso al mio futuro in un altro modo. Sto studiando Scienze motorie (indirizzo Management dello Sport) e vorrei diventare proprio un manager dello sport. Nel frattempo, perché devo anche mantenermi, faccio il coach. Da due mesi e mezzo sto seguendo Federico Vita. Mi hanno chiesto i suoi genitori, che sono amici di vecchia data dei miei, di allenarlo. E stiamo facendo la preparazione al Tc Terranova di Olbia perché la famiglia di Federico ha una casa vicino a Porto Cervo. Lo sto facendo giocare sulla terra, è lì che dovrà fare una serie di tornei».

La fase della tua carriera in cui ti sei davvero divertito?

«Alle Next Gen Atp Finals. Ho giocato contro Chung, Rublev, Sinner. Sì, ho perso, ma sono uscito a testa alta. Bel ricordo».

Il tennis italiano attraversa un grande momento. Partiamo da Sinner, anche se è uscito al primo turno a Wimbledon.

«Giocatore fantastico, completo. Maturità e freddezza invidiabili. Poco più di due anni fa giocai contro di lui in un Challenger a Bergamo. Avevo di fronte un ragazzino e io stavo giocando piuttosto bene. Ero convinto, senza presunzione, di superare quel turno (erano i quarti). Invece Jannik mi prese letteralmente a pallate. Bravissimo. Rimasi colpito oltre che dalla profondità e pesantezza di palla proprio dalla sua maturità. Sembrava già un giocatore da circuito maggiore».

E Musetti?

«È talentuoso, gioca un tennis eccellente, sta andando avanti più gradualmente rispetto a Sinner ma è già un ottimo giocatore. La forza di entrambi è legata alla grande voglia di lavorare e di continuare a sacrificarsi anche quando le cose non vanno bene. Loro sono bravi a resettare e a concentrarsi subito sul torneo successivo. È così che si va avanti».

E poi c’è il tuo legame con Berrettini.

«Siamo amici, ho giocato con lui due campionati a squadre con l’Aniene. E’ determinato, ha una sicurezza bestiale e una costanza di risultati. E infatti è nei primi dieci al mondo. Sono convinto che a Wimbledon, se resterà sul pezzo, farà benissimo. Ma se devo pensare a un probabile vincitore dico Djokovic: anche quando si trova sotto di due set, per parlare di uno Slam, non molla mai, capovolge la partita e stende gli avversari. Per batterlo, non devi avere cali. I primi 100 giocatori al mondo sono tutti bravi e non è questione di tecnica. Ma di testa. Il campione è quello che nei momenti importanti non fallisce. La grande differenza è tutta lì».

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