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L’intervista

Ousmane Diop ingaggiato dall’Olimpia: «La mia passione scalderà anche Milano»

di Antonello Palmas
Ousmane Diop ingaggiato dall’Olimpia: «La mia passione scalderà anche Milano»

Il centro della Dinamo si racconta dopo il saluto a Sassari

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Milano Per Ousmane Diop la firma di un biennale nientemeno che con l’Olimpia Milano rappresenta una delle tante svolte della sua vita. C’è quella in Africa, poi quella dopo il trasferimento a Udine senza la sua famiglia a soli 13 anni, poi quella alla Dinamo dove è esploso come giocatore diventando un uomo. Ora Milano. Lui è già lì che si allena in palestra per rinforzare in particolare gambe e ginocchia. E torna nel weekend dalla sua ragazza Francesca, «che più avanti mi dovrebbe raggiungere in Lombardia, vediamo come organizzarci».

Ousmane, ha 25 anni ma sembra almeno che ne abbia vissuto il quadruplo, tanto è stata varia e intensa la sua esistenza.

«È vero. Queste sono le cose belle che possono accadere quando fai un viaggio del genere. Sono molto felice di come sta andando la mia vita, anche quella professionale, perché è quello che avrei voluto fare sin da ragazzino. Poterlo fare in uno dei migliori club in Europa, è ancora meglio».

Sta vivendo un sogno.

«Lo so, è un traguardo che è nel pensiero credo di ogni giocatore. E non tutti se l’aspettavano da me, lo dico tranquillamente, anche se sin dai tempi di Udine c’è stato sempre chi ha creduto in me, ma non tutti. Con i sacrifici e il lavoro, cercano di fare sempre la cosa giusta, ci sono arrivato. Ma la cosa più difficile ora è restarci. Ora il livello si alza e occorre imparare il più presto possibile per entrare nella chimica giusta».

L’avrebbe mai creduto?

«Sì. Ho sempre immaginato di arrivare così in alto. Sono uno che lavora molto, anche in estate. Questo è il nostro lavoro e occorre cercare di farlo bene come qualsiasi altro. Si raccoglie sempre quello che si semina e io ho sempre creduto in me».

Lo sa che non è arrivato in un posto normale? Milano significa dover vincere per forza, anche in Eurolega, roster molto lungo, competizione. Forse minutaggio ridotto.

«Ci sono cose che devi guadagnarti sul campo, già in allenamento. E se quando ti mettono in campo non rendi secondo le attese dell’allenatore, è giusto che stia in panchina. Sono il primo a dire: ognuno prende quello che merita. Se mi impegno, rendo e non gioco posso anche recriminare, ma se non faccio nulla di ciò che serve per dimostrare di essere all’altezza, no. Questa è la mia mentalità».

È in contatto con qualche nuovo compagni, con il coach Messina?

«I compagni ancora no, con il coach sì: mi ha chiamato già qualche settimana fa. Ho pensato: ehi, ti chiama Ettore Messina, qualcosa di buon devi averlo fatto... Mi ha colpito che mi abbia fatto una videochiamata, l’ho letto come un segnale di interesse e disponibilità che mi ha fatto decidere: sì, voglio andare a Milano. Ci siamo risentiti, manda messaggi, si informa di come sto».

Sassari dal 2018 era diventata un po’ casa sua.

«No, Sassari “è” proprio casa mia. Già quando ho avuto l’occasione di firmare con Milano ho parlato subito col presidente Sardara per avere consigli, per me era importante».

Ci sono stati tanti altri arrivederci negli anni, ma pochi hanno suscitato un dispiacere come nel suo caso. Anche il saluto del club è andato decisamente oltre il burocratico “si ringrazia per la professionalità...”

«Mi fa piacere. Io semplicemente sono sempre stato solo me stesso, sono andato d’accordo con tutti cercando di essere gentile, ma perché è nella mia natura. Non ho mai forzato nessun rapporto .E il rapporto con la Dinamo è stato molto bello perché sempre sincero. Sassari mi ha cresciuto ed è l’unico posto in cui ho giocato in Serie A».

E nessuno si è inserito nella vita della città come Diop, partecipando anche a iniziative sociali e addirittura diventando un simbolo per il centro storico e le comunità africane.

«Perché io sono nato e cresciuto in un ambiente accogliente come quello sassarese, per cui per me è naturale vivere la città in un certo modo. A Sassari poi sono tutti molto gentili e per me è stato molto facile inserirmi».

Un bel salto, ma ora si catapulta in un ambiente che rischia di trovare un po’ meno familiare.

«Ancora non so, devo ancora conoscerlo. Vedremo, ma quello che ho visto sinora è molto bello e interessante».

Ha il carattere giusto per riuscire a scaldare e conquistare anche il Forum.

«Sicuramente, poi a me piace giocare a pallacanestro, dovunque mi metti posso tirare fuori la mia passione e magari riuscire a trasmetterla anche ai tifosi».

Dei flash di questi anni in biancoblù?

«I playoff del 2022-23 con Venezia, ma anche altre partite in una stagione che era stata per me davvero molto importante. Vero che al primo anno in cui arrivai andammo in finale scudetto, ma era diverso perché facevo molta panchina, mentre quello è stato davvero esaltante per me».

E uscendo dall’aspetto strettamente sportivo?

«L’esperienza nelle scuole di San Donato: è la cosa più bella che mi sia capitato di fare a Sassari. Ho visto bambini commuoversi, è stato veramente bello, non me l’aspettavo così. Ho fatto quello per cui sono sempre stato educato, riuscendo a entrare nel cuore della gente. E aver legato in maniera così forte con questa città, dove ho anche la ragazza e dove quindi tornerò spesso, è molto importante».

Persone con cui ha legato in particolare?

«Tantissime, non posso elencarle... Dico Fadel Fall, mio grandissimo amico, con cui ci vedevamo quasi ogni giorno. Riguardo al basket, sicuramente coach Piero Bucchi. De Vecchi, Gentile, Gandini sono persone con cui ho passato tanto tempo, oltre a Treier, Cappelletti, Bendzius, Kruslin».

Una cosa che non potrà portarsi dietro da Sassari è quel mare a pochi chilometri che le ricorda il Senegal e la sua infanzia: l’Idroscalo non sarà proprio la stessa cosa.

«Ah, viene un po’ male (ride), ma tornerò ogni volta che posso. Alla fine vedrete che non mi mancherà così tanto».

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