Stefano Trucchetti: «Io campione europeo U20, ma ancora non l’ho capito»
Basket. Il sassarese tra i protagonisti nell’Italia che ha vinto l’oro a Creta. «Gli odiatori razzisti sui social? Imbarazzanti». Risolto il contratto con la Dinamo, il play verso Pesaro.
Sassari Non c’è Trucco, anzi sì, c’è Stefano Trucchetti nei magnifici dodici, ridotti a otto nella finale con la Lituania, che hanno conquistato uno strepitoso oro agli Europei U20 di basket a Heraklion, Creta. E il 19enne play sassarese della Dinamo (ancora per poco, per la notizia del passaggio a Pesaro in A2 manca solo l’ufficialità dei marchigiani dopo che Sassari ha annunciato la risoluzione consensuale del contratto) è stato tra i protagonisti dell’impresa.
Diciamo che non è andata malaccio...
«Eh dai, non ci possiamo lamentare – scherza – . È stato stancante, molto, ma sono sacrifici che si fanno più che volentieri, specie se poi arriva una gioia come questa».
Che obiettivi avevate?
«Vincere l'ottavo di finale. Perché comunque venivamo da una serie di risultati che ci vedevano sempre sconfitti dopo la fase a gironi».
Quindi non immaginavate di andare così lontano?
«Sinceramente no. Però, non so, nel gruppo si è creata una grande chimica che ci ha spinto. Un gruppo super: sempre insieme, facevamo tutto insieme, si smorzava facilmente ogni differenza di vedute, mai una parola fuori posto».
Ragazzi, si può fare: quando ve lo siete detti?
«Dopo Israele, nei quarti, abbiamo capito che a medaglia ci saremmo potuti arrivare. Siamo stati anche sul -20 a 15’ dalla fine e poi ci siamo svegliati. Cosa è scattato? Dopo un mese lontani da casa, famiglie e amici eravamo molto arrabbiati all’idea di perdere così una gara alla nostra portata. Ci siamo detti: tiriamo fuori ciò che possiamo e andiamo in semifinale. L’abbiamo fatto».
E avete eliminato la Serbia al termine di una grande prova, con lei protagonista.
«Sì, abbiamo giocato una gran bella partita contro un avversario tosto, con tanti giocatori già da anni nel professionismo, c’è anche chi ha vinto la March Madness, il torneo collegiale Usa. Tanta fisicità e aggressività da parte loro cui noi abbiamo risposto di conseguenza. Io? Ho aiutato molto la squadra sia con i punti che nel playmaking e in fase difensiva. Ho fatto quello che il coach mi chiedeva e quello di cui la squadra aveva necessità».
Che sensazione quel trionfo: la pioggia di coriandoli dorati, i flash, la festa...
«Ancora non ho realizzato, non ho messo a fuoco cosa abbiamo combinato domenica sera. E qualcosa che sogni, ma è veramente difficilmente che succeda. Ci vorrà un bel po' di tempo, adesso godiamoci tutti il momento, festeggiamo per quanto possibile, ma sempre con la testa sulle spalle, perché tra 10-15 giorni si inizia con la preparazione».
Siete diventati un caso dopo gli attacchi degli odiatori razzisti sui social per la presenza di diversi giocatori di origini africane in squadra.
«Ci entrava da un orecchio e ci usciva dall'altro, però dopo un tot iniziava a risultare pesante, imbarazzante. Sono cose senza senso nel 2025, tra l'altro questi ragazzi sono tutti nati in Italia e parlano l’italiano molto meglio di chi li attacca… E sono molto più italiani di altri che lo sono diventati da naturalizzati, dopo un breve periodo nel nostro Paese».
Non era scontato che partecipasse a questa avventura.
«Ero l’ultimo dei 21 convocati iniziali. Coach Rossi però mi ha dato fiducia dopo che ho dimostrato di poter essere all'altezza di questo percorso».
D'altra parte è uno che ha fatto sacrifici: a Milano già a 13 anni per crescere, è abituato a dare tutto.
«Sì, sicuramente. Dico sempre che il duro lavoro, magari non subito, viene sempre ripagato in futuro».
Già nel 2022 in l'U16 in Macedonia aveva ben figurato.
«Vero, eravamo arrivati sesti perdendo la finale per il 5° posto proprio con... Israele. Un motivo in più per non darsi per vinti nei quarti qualche giorno fa. L’anno scorso sono stato l’ultimo taglio dell’U18 che ha fatto gli Europei in Finlandia. Cercavano un play con altre caratteristiche. Ma io accetto serenamente tutte le decisioni».
Non crede che una vittoria come questa sia un segnale che si dovrebbe dare più spazio ai giovani anche in A?
«Sicuramente. Però so, avendolo vissuto sulla mia pelle, che in Italia non è semplice. Non ci mettiamo mai nei panni del coach che deve portare a casa il risultato e dovendo decidere tra un senior con anni di esperienza (che quindi sbaglia meno) e un giovane, è normale che scelga il primo. Il problema è alla radice, è nella mentalità delle società».