La Nuova Sardegna

Il caso

Il criminologo Davide Cannella: «Non ci sono alternative il Mostro di Firenze è legato ai sardi»

di Claudio Zoccheddu
Il criminologo Davide Cannella: «Non ci sono alternative il Mostro di Firenze è legato ai sardi»

L’ipotesi: «Così spostavano l’attenzione dai sequestri»

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Sassari «Il Mostro di Firenze è un personaggio legato alla pista sarda, non ci sono dubbi». Davide Cannella, investigatore e criminologo, ha sempre sostenuto questa possibilità e dopo la clamorosa scoperta che ha cambiato la paternità di Natalino Mele, il bimbo scampato a quello che è stato considerato il primo delitto del mostro di Firenze, e la assegna a Giovanni Vinci, finito nel vortice delle indagini insieme a suoi fratelli ma mai indagato, Cannella non può che ribadire la sua convinzione: «Parliamoci chiaro, la pista sarda è sempre stata la più facile ma soprattutto la più probabile. La famigerata Beretta calibro 22 che uccise per la prima volta nel 1968, coinvolgendo appunto i sardi Stefano Mele e Salvatore Vinci, è quella che ha ucciso anche nelle altre occasioni».

C’è anche un altro aspetto che Cannella cita a sostegno di quella che, da ieri, è decisamente qualcosa di più di una pista alternativa: «Non dimentichiamo che nei primi anni ’80 dopo gli altri delitti del Mostro, qualcuno volle portare gli inquirenti sulla pista sarda con una lettera anonima, segnalando appunto che la Beretta calibro 22 aveva già ucciso una coppia nel fiorentino nel ’68». Cosa che si rivelò corretta una volta che vennero confrontati i bossoli. Cannella, però, aggiunge un dettaglio che accende una luce diversa sui delitti del “Mostro”: «Gli omicidi non erano solo una questione maniacale. C’era anche quel tipo di componente, è stato evidente sin dal primo delitto, ma l’intenzione era un altra: la banda dei sardi aveva deciso di spostare l’attenzione della polizia dai sequestri di persona». Un’ipotesi che Cannella difende a spada tratta: «Avrebbero potuto scegliere un altro tipo di diversivo? Certo, avrebbero potuto farlo ma diciamo che a un certo punto si sono fatti prendere la mano».

Un’altra conferma che porterebbe alla banda dei sardi è la paternità dei delitti: «Ci sono più mani dietro gli omicidi, anche questo è evidente». D’altra parte, le indagini si sono concentrate su quelli che Mario Vanni aveva definito “compagni di merende”: «Sono stato un consulente della difesa di Pietro Pacciani, sono stato io a sbugiardare le accuse di Giancarlo Lotti. Non sono stati loro». Nonostante gli ultimi sviluppi, Cannella non se la sente di scommettere sull’epilogo della vicenda: «Non sono abituato a scommettere e poi è passato troppo tempo, sarà difficile che si venga a capo di qualcosa con certezza matematica. Certo, di recente un dna sconosciuto è stato ritrovato su uno dei proiettili usati nell’omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili (le ultime vittime del Mostro, uccise dentro la loro tenda agli Scopeti, in Val di Pesa, ndr). Se trovassero il dna di uno dei Vinci dentro la tenda, vuol dire che avremo fatto bingo. Anche se, lo dico subito, usavano i guanti. Non erano mica stupidi». 

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