La Nuova Sardegna

Con i bimbi di Fukushima il dopo terremoto passa anche in Sardegna

di Fabio Canessa
Con i bimbi di Fukushima il dopo terremoto passa anche in Sardegna

Un gruppo di ragazzi giapponesi ospiti la prossima estate a Sant’Anna Il giornalista Sky Pio d’Emilia parla del suo film sul disastro nucleare

29 aprile 2016
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di Fabio Canessa

Viene ogni anno in Sardegna per il Girotonno di Carloforte. Nella prossima edizione, a inizio giugno, sarà anche presidente della giuria del concorso legato alla rassegna. D’altronde di tonno se ne intende, arrivando dal Paese che è il maggiore importatore del pregiato pesce catturato anche nel mare dell’isola di San Pietro. Pio d’Emilia vive da oltre trent’anni in Giappone. Ha scritto per varie testate e da diverso tempo è corrispondente di Sky per l'Estremo Oriente. Nel marzo del 2011 è stato il primo giornalista straniero a raggiungere Fukushima. Sull’incidente nucleare ha scritto un libro (“Tsunami nucleare. I trenta giorni che sconvolsero il Giappone”) e il materiale girato nella sua lunga ricerca dopo la tragedia è diventato la base di un documentario, diretto da Matteo Gagliardi, uscito di recente per il quinto anniversario del disastro: “Fukushima. A Nuclear Story”. Il film nei giorni scorsi è stato presentato al Far East di Udine, il più importante festival di cinema asiatico in Europa. Proprio dalla città friulana il giornalista ritorna, per La Nuova Sardegna, a quel momento di cinque anni fa. Quando da Tokyo decide di partire per raggiungere le zone colpite dallo tsunami. «Da molti vengo considerato un pazzo o un eroe – racconta Pio d'Emilia – ma la realtà è che vivendo in Giappone da tanti anni conosco bene il Paese e la lingua. Avevo gli strumenti per fare quello che ho fatto. Così sono partito, subito, senza nemmeno avvisare Sky. Ho ritenuto fosse giusto».

Quali sono state le difficoltà maggiori come cronista, a partire dal fatto di raggiungere la zona della centrale?

«Prima ho provato con la moto, ma non ci sono riuscito. Quindi sono tornato indietro e ho capito che l’unico modo per arrivare vicino, visto che ormai le autostrade non erano più accessibili, era prendere il mostro da dietro. Ho preso quindi un aereo e da nord poi sono sceso. Ed è stata la decisione giusta. Per il resto non è stato così difficile. Non è come in America che se entri in una zona proibita ti sparano e basta. I giapponesi sono più simili a noi di quanto si pensi. Puoi trattare. Sono insomma riuscito a superare i posti di blocco, un poì con le buone e un po’ con le cattive, per esempio andando via e ripassando da un’altra strada. Non è stato così impossibile fare il mio lavoro, volendolo fare. Il problema è che molti colleghi non hanno voluto farlo e altri invece non hanno potuto per problemi logistici. Come gli inviati arrivati al momento. Non erano in grado».

Com’è oggi la situazione nella zona?

«Sono ancora 100mila le persone sfollate, che stanno vivendo in casette di plastica e vorrebbero capire quando potranno tornare alla vita di prima. E questa è una cosa molto difficile per i giapponesi, per gli anziani in particolare che danno grande importanza al morire nella loro casa. Nel documentario si vede una signora che si è rifiutata di spostarsi con il marito perché la mamma, novantenne, stava morendo e non c’era motivo di farla morire anticipatamente creandole lo stress da spostamento».

Ma c’è an. cora emergenza a Fukushima?

«Oggi paradossalmente la situazione è più pericolosa. Primo perché non se ne parla più e la gente tende a credere alle chiacchiere dell’attuale governo, di Shinzo Abe, che continua a sostenere è tutto sotto controllo. Secondo, siamo in una situazione con tre reattori ancora nel meltdown. Vuol dire che la massa dentro il nocciolo ha iniziato a colare, finendo nell’oceano e nelle falde acquifere. Di questo nessuno parla. A cinque anni di distanza, ancora non sono stati capaci di venire a capo di questa situazione. E viene quindi naturale chiedersi se davvero è ancora legittimo e sostenibile parlare di nucleare quando in un paese come il Giappone, ad alta tecnologia, un incidente può mettere a repentaglio non soltanto l’ambiente, ma anche la vita delle persone e soprattutto il loro equilibrio psicologico».

È quest’ultimo aspetto, quello di psicologico, il tragico effetto collaterale dell'incidente?

«A Fukushima sono morte direttamente per l’incidente pochissime persone, per le radiazioni nessuno, ma si parla di centinaia di suicidi collegati alla vicenda. E poi ci sono le migliaia di persone la cui vita è stata devastata da quell’incidente. Basta immaginare una mamma che ogni giorno comprando il latte si pone il dilemma se quel cartoncino potrebbe essere un giorno la causa di un tumore per suo figlio. Questo è il vero costo della scelta del nucleare, insostenibile da ogni punto di vista in un paese come il Giappone».

Si è fatto qualcosa dopo l’incidente per cambiare programma energetico e puntare su energie alternative, rinnovabili?

«Sì, l’ex presidente Naoto Kan prima di dimettersi per problemi interni al suo partito era riuscito a far approvare dal Parlamento un pacchetto molto avanzato sugli incentivi per il passaggio alle fonti di energia rinnovabili e in particolare aveva inaugurato il passaggio al sistema della liberalizzazione della produzione dell'energia elettrica. Come c’è in Europa da anni. Prendere quindi i pannelli solari, produrre energia e vendere quella in più. C’è stata questa legge, molto utilizzata e lo stesso Naoto Kan ha trasformato la sua casa, mostrandola con orgoglio. Il Giappone ha così finalmente scoperto il fotovoltaico, ed essendo indietro in questo settore si è affidato molto ad aziende europee, tra le quali anche diverse italiane. Con il cambio del governo c'è però stato un passo indietro, Shinzo Abe continua a parlare di ritorno al nucleare».

Potrebbe riuscire Abe nel suo progetto?

«Secondo me no. La popolazione giapponese è ormai profondamente contraria. L’energia nucleare sarà rinnovabile e pulita, ma quando funziona. Se salta una centrale elettrica, o anche di idrocarburi, i danni non sono paragonabili a quelli che può provocare un incidente nucleare. In un paese, poi, come il Giappone dove le centrali sono a distanza di pochi chilometri dai centri urbani. I 54 reattori in funzione prima del 2011 erano tutti vicini alle città. È questo l'assurdo, l'atto all'epoca di irresponsabilità, oggi di vera e propria complicità».

Due reattori sono stati comunque riattivati. Quello di Sendai non lontano dal centro del recente terremoto di Kumamoto. C’è stato un reale pericolo con le forti scosse dei giorni scorsi?

«Direi di sì. Tanto che c’è un movimento per farla spegnere. Nel momento in cui il premier Abe continua a dire che è tutto in sicurezza, la terra si scatena. Sembra quasi lo punisca per la sua arroganza».

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