La Nuova Sardegna

Quando è l’abito che fa il Santo

di Alessandro Ponzeletti
Quando è l’abito che fa il Santo

L’ iconografia di una ricorrenza sacra che punta molto anche sull’immagine

01 maggio 2016
3 MINUTI DI LETTURA





di Alessandro Ponzeletti

«L’abito che fa il santo» potrebbe intitolarsi, parafrasando un celebre detto rimandante all’area monacale, questo che scrivo sull’iconografia di Sant’Efisio Martire. “Efis Sballiau” ossia “Sant’Efisio sbagliato” è chiamato l’antico simulacro di anonimo scultore forse cagliaritano che dal XVI secolo, probabilmente con la riedificazione nel 1538, adorna l’interno della chiesa dedicata al santo a Stampace, tempio eretto su un sotterraneo romano che per tradizione fu suo carcere prima del martirio, avvenuto il 15 gennaio dell’anno 303. Lo “sbaglio” consiste nell’aver posto nella destra del santo la palma del martirio e nella sinistra la stigmate cruciforme. Postura invertita (e corretta) invece nella statua collocata anch’essa nella chiesa stampacina (curata dall’Arciconfraternita a lui intitolata), opera lignea di Giuseppe Antonio Lonis, abile scultore originario di Senorbì, non lontano da Cagliari, ed erede di una buona tradizione familiare di scultori e decoratori.

Lorica e tunicella. Infine, la seicentesca statua processionale, quella che è portata alla Festa Grande, la processione del 1° maggio, data per lo scioglimento del voto municipale per la cessazione dell’epidemia di peste del 1656, la processione di 80 km da Stampace a Nora, con due giorni di preghiera e poi con rientro in città. Il Sant’Efisio processionale è vestito da soldato romano: l’anonimo scultore d’area napoletana gli scolpì indosso la “lòrica” ossia la corazza modellata anatomicamente, con bellissimi coprispalla a viso umano, sottostante tunicella con orlo a grossi dentelli coprente parte delle braccia e le gambe, ai piedi stivaletti, ma per la Festa Grande la statua viene abbellita con varie stoffe ed abiti, pizzi e mantello rosso con ampi panneggi; se il vestiario è la versione idealizzata dell’abito del soldato romano in base a quanto visto e compreso dai resti archeologici a partire dal Rinascimento in poi, la fisionomia di Sant’Efisio è erede della moda del Seicento: chioma medio-lunga, baffetti sottili così come il pizzetto.

Capelli incolti. In passato fu proposta dall’incisore cagliaritano Gioacchino Corte una variante a questo aspetto del santo: nel 1798 disegnò e incise la matrice per due tirature di stampe commemorative dell’assalto francese a Cagliari, con cannoneggiamento della città, operazione fallita per gli attaccanti e vista dal popolo come vittoria di Sant’Efisio che aveva protetto la capitale del Regno Sardo e che per questo meritò l’appellativo di “Generalissimo”. Corte rivisitò l’aspetto del Santo aggiornando posa (invece che in piedi e frontale, di tre quarti e inginocchiato in adorazione della Croce) e fisionomia, dando ad Efisio un aspetto più “mascolino”, con capelli lunghi incolti, barba e baffi abbastanza folti e tratti del viso più marcati. Ma il modello, quasi anticipando caratteri romantici del secolo successivo, non ebbe successo, tanto che negli stessi anni, per mano dell’incisore fiorentino Cecchi, apparve un’altra stampa dove il santo appariva completamente senza barba, con aspetto assai giovanile, sebbene il disegno venisse indicato come opera del medesimo Corte.

L’eroe a cavallo. Nel 1850 l’incisore cagliaritano Raffaele Aruj riprese la posa classica, in piedi e frontale, di Efisio in atto di proteggere il capoluogo sardo. Infine,nel 1875 il pittore cagliaritano Tommaso de Belly dipinse una grande tela con Sant’Efisio a cavallo, ritratto nel momento della sua conversione al cristianesimo, un’opera assai ben riuscita: il quadro, per chi voglia ammirarlo, è conservato nella sacrestia dei Beneficiati nella cattedrale cagliaritana di Santa Maria in Castello.

In Primo Piano
L’intervista in tv

Alessandra Todde: «L’Italia non è il paese della felicità che racconta la premier Giorgia Meloni»

Le nostre iniziative