La Nuova Sardegna

Dai pascoli sardi a New York: la sfida della famiglia Pinna ai mercati dell’era globale

di Giacomo Mameli
Dai pascoli sardi a New York: la sfida della famiglia Pinna ai mercati dell’era globale

All’inizio il coraggio e le intuizioni dei due capostipiti, Giommaria e Francesco Oggi, alla quarta generazione, un’azienda che punta su qualità e innovazione

30 maggio 2016
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Il vero successo – merce rara nell’imprenditoria sarda – nasce da un insuccesso, inevitabile negli anni dei grandi crash bancari in Italia e in Europa. Il Black Tuesday del 1929 vede l’America con dieci milioni di disoccupati, il patrimonio di Robert McCallan (Exxon, General Electric e Milwaukee) passato da un miliardo di dollari a pochi spicci o su di lì. Le cose vanno male fra le sponde del Reno, della Senna e del Po, scricchiolano gli industriali del parmigiano che in quegli anni lasciano la pianura padana sognando la Grande Mela. Non poteva certo andar liscia a Bulvarinu di nuragica stirpe (uomo focoso come la polvere da sparo, dinamico) che parte dal Meilogu di Thiesi con un carretto carico di formaggio pecorino tipo romano diretto su un brigantino da Olbia a New York. La ruota non gira come sperava. Ma nella genetica di quei pionieri dell’export sardo c’era nascosto ma radicato un “catechismo aziendale” di taglio calvinista perché sommavano «quella trinità di virtù – coraggio, tenacia e prudenza» che porteranno alla nascita di un’azienda familiare di terza generazione «leader indiscussa in Sardegna e fra le maggiori del Paese».

Il “chi è” di questa epopea si legge nel volume Fratelli Pinna, una storia di successi, firmato da Paolo Fadda. Che non è un accademico. Cagliaritano di 86 anni ben portati, ex imprenditore e dirigente Dc, Fadda racconta storia ed economia rispettando le fonti, decodifica i documenti, fruga negli armadi di casa e negli scaffali di un archivio di Stato, poi trasferisce le conoscenze in leggerezza perché non vuol parlare a ristrette élites.

In un’isola dov’erano presenti molti imprenditori della penisola – soprattutto a Macomer caput insulae per lo snodo ferroviario – sono i Pinna di Thiesi i primi innovatori nella Sardegna di dentro. Aprono la strada. Fanno capire che occorre produrre bene ma anche saper vendere, virtù vietate sotto Gennargentu e Limbara. I due capostipiti (Giommaria Pinna, 1881-1953) e il fratello Francesco (1894-1963) abbandonano l’attività di commercianti di bestiame e di venditori di pelli. Dopo la parentesi americana, si lanciano nella trasformazione del latte in una Sardegna che vedeva le greggi passare da centinaia a milioni di capi. Era l’avvio forse inconsapevole della green economy senza slogan. I Pinna colgono l'attimo. Agiscono – producendo pecorino romano – non da pastori polifemaici ma da capitani d’industria. Sono loro gli Adriano Olivetti della società agrosilvopastorale. Perché ne vedono le potenzialità uscendo dai miti del buon selvaggio che si crogiola nel proprio particulare. È di stampo olivettiano anche il voler stare a Thiesi, rifiutare la sirena dei poli industriali attrezzati di chissà che. Così come oltremare succedeva a Schio per la Lane Rossi, a San Sepolcro per i Buitoni, i Pinna restano nel borgo natale con l’orgoglio – alla Marino Moretti – di “esser paesani”. La Sardegna c. ambiava pelle con «duecento piccoli caseifici che – scrive Fadda – da dicembre a giugno venivano fatti funzionare in moltissimi centri isolani». Ma occorreva lo slancio. Piccolo non è bello. Dura poco. I Pinna fanno arrivare macchinari d’avanguardia dall’Italia e dall’Olanda, costruiscono alleanze, entrano in contatto con industriali della penisola, ne ereditano il meglio, sono spesso capaci di surclassarli col valore aggiunto del coraggio e della prudenza. Tenendo sempre unita la famiglia – di generazione in generazione, dalla fine dell'Ottocento a oggi – i Pinna osano, i Pinna rischiano, i Pinna studiano e viaggiano per l’Italia e per l’Europa per capire come gira il mondo dell’industria casearia. Oggi nello stabilimento sulla strada per Bessude-Siligo siede una new-best generation che continua a rispettare le vecchie tavole della legge per fare “su casu” ma “in progress”. Casu che è migliorato – eccome – rispetto al passato e che, col prodotto leader Il Brigante ha fatto scuola per tutti gli altri stabilimenti del latte nell’isola. E che, negli anni successivi al 1970, fa comparire il nome Sardegna negli autogrill e nei negozi di tutt’Europa fino a sbarcare di nuovo a New York e – nemesi delle nemesi – troneggiare nell’impero di Bloomingdale's.

Dietro questo successo c’è il marchio d’origine dei fondatori Pinna-Musinu, fra chi era “Bulvarinu” Ghino di Tacco o “Prinzipinu” Cavalier Cortese. Il grande salto – con innovazioni di prodotto e processo – ha la griffe della seconda generazione che, soprattutto con i quattro moschettieri – Battistino, Antonino e i due Serafino – diventa eccellenza imprenditoriale italiana. La squadra Pinna – Antonino (1928-1988), Serafino junior (1923-2007), Serafino senior (1916-2008) e Battistino noto s'avvocadeddu (oggi 97 anni) – ha mostrato alla Sardegna e all’Italia imprenditori dal volto umano, dialogavano alla pari col pastore che conferiva il latte e col presidente di un istituto di credito. Erano gli anni in cui si capiva che il mondo era globale. Durante un matrimonio sotto i lecci di Santa Cristina un pastore da terza elementare aveva detto che se Wall Street chiude in ripresa se ne avvantaggia anche il pastore («candu su dollaru si ch’imbolat su cuile ingrassada»). Era una legge di mercato che i Pinna avevano fatto capire anche nell’eterna querelle sul prezzo del latte e con le agevolazioni concesse dalla Regione al settore cooperativo che non ha saputo uguagliare il know how dei privati. Regole di mercato che oggi, con accresciute competenze, anche con un impianto costruito in Romania, tramandano i figli di Serafino senior (Giommaria, per parte dell’omonimo nonno), di Battistino (Alessandra) e, per parte del fu Francesco, i figli di Serafino junior (Andrea) e di Antonino (Pierluigi col fratello Paolo che sovrintende al marketing). E si affaccia la quarta generazione.

Il tutto raccontato bene da Paolo Fadda che – «in un’isola di pecore sopravvissute al diluvio universale» – inserisce le vicende dei Pinna nel contesto nazionale e internazionale. Con la Rimet del formaggio che resta nella terra dei nuraghi. Meilogu in primis.

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