La Nuova Sardegna

«La satira? Ormai è un’arma che non serve più a niente»

di Daniela Paba

Stefano Benni insieme con Luca Restivo a Uta per il nuovo libro, “Cari mostri” «Bisognerebbe fare male, altrimenti è soltanto un inutile “vogliamoci bene”»

24 luglio 2016
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UTA. La gran parte dei paesi della Sardegna possiede un posto come il sacrario di Santa Maria a Uta. Chiesa romanica campestre, sagrato e ulivi intorno, dove "Sulla terra leggeri" ha riunito nei giorni scorsi una platea di spettatori alla ricerca di un po’ di fresco. La grazia inaspettata di questi luoghi spiega in parte il rapporto di Stefano Benni con l'isola: «Ci vengo da trentacinque anni. E' la mia terza patria». L'intervista con Luca Restivo ha restituito lo scrittore così com’è oggi, più incline alla riflessione ma sempre brillante.

La questione delle migrazioni accompagna l'itinerario del festival: «Io frequento il mondo della scrittura e della letteratura – ha detto Benni – ed è più facile che sullo scaffale siano vicini uno scrittore israeliano e uno palestinese. La vita reale è più complessa e la mia impressione è che il disprezzo stia vincendo sulla cultura delle differenze». A chi gli rimprovera d'essere diventato malinconico risponde: «La satira è divertimento ma se uno vuole avere un atteggiamento critico non basta, perché è imprecisa, grottesca, una verità penultima. Mi sono stancato di vedere spettacoli di satira davanti alla platea dei politici. Ogni tanto qualche schiaffo dovrebbe partire, se no è tutto un “vogliamoci bene”. Ho fatto satira quando era una cosa rara, poi ce n'è stata troppa, e oggi molti burocrati delle vignette non si sforzano di capire le cose». In “Cari mostri” (Feltrinelli), il suo nuovo libro, cita South Park: «Sono nato con una cultura meticcia, col rock e Topolino, l'alto e il basso insieme. La profondità e la stupidità non sono legati ai generi, dentro i generi troviamo le differenze. South Park piaceva a mio figlio a me piacciono i Griffin». A proposito di libri e teatro ricorda: «Abbiamo l'unica televisione senza un programma di libri che magari non salvano il mondo ma sono meno addomesticabili e meno prevedibili. La satira televisiva è fatta di tormentoni, ma nei libri e in teatro fare ridere è immensamente più difficile e faticoso. Da anni dico a Crozza di smettere di fare tv, perché vi assicuro che se lì è bravo in teatro è strepitoso».

Benni è uno dei pochi che scrive per le attrici: «Preferisco le attrici perché sono più versatili. Un'attrice sottoposta alla doccia fredda di dover passare da una situazione comica a una tragica non ha problemi; un attore comico anche bravo se non sente una risata ogni trenta secondi va in crisi. I comici hanno terrore del silenzio teatrale che invece io adoro perché è una forma di concentrazione e io cerco quell'incanto. Crozza o Paolo Rossi non resistono, inventano sempre qualcosa, ma non è il mio testo che prevede almeno sette minuti di tragedia». «"Cari mostri" – dice ancora – è stato scritto perché viviamo in un periodo in cui le paure ci sono imposte dagli altri. La paura è un sentimento importante senza di lei non esisterebbe il coraggio. Viviamo di paure mediatiche che ci pietrificano: in questo libro parlo di come possiamo intervenire. Se abbiamo il coraggio di aprire la porta chiusa scopriamo che il mostro è piccolo così o che è nostro cugino oppure che è simpaticissimo e ci possiamo parlare. A volte è spietato e ci uccide, però è la porta chiusa che genera i mostri peggiori. Il 70% dei politici italiani vive delle paure che insegna e a questo bisogna reagire. Esistono poi le paure vere, il terrore, il dolore. Ma è una cosa che dobbiamo affrontare e non delegare ai media perché questo sarà il futuro».

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