La Nuova Sardegna

Addio a Giulio Angioni, la voce dell’isola più vera

di LUCIANO MARROCU

Lo scrittore e antropologo si è spento ieri all’età di 78 anni

13 gennaio 2017
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LUCIANO MARROCU. Giulio Angioni, che s’è spento ieri a 78 anni per una malattia fulminante, usava con cura le parole, sia quando inventava storie sia quando cercava di spiegare come funziona la società in cui viviamo. Dunque, da una parte lo scrittore, dall’altra l’antropologo. Sarebbe così se non fosse che molti dei saggi di Giulio Angioni avevano un tono spiccatamente letterario, così come, sull’altro versante, i suoi romanzi rivelavano sempre i suoi studi antropologici.

Non risulta difficile leggere un libro come «Sa laurera» come il racconto, epico e poetico insieme, di un mondo che non c’è più e che l’autore, nato e cresciuto in quel mondo, si assume il compito di fissare con parole adeguate, le sole possibili, che rimangano, loro almeno, se non possono rimanere le operazioni, i gesti, gli strumenti del lavoro contadino. Come non sarà difficile trovare dentro «Il sale sulla ferita» – il suo romanzo più bello – le idee e i contenuti di un saggio che avrebbe potuto scrivere (e in parte ha scritto) con le parole e gli strumenti della più raffinata antropologia accademica. Dei due compaesani sardi che si incontrano a Berlino, uno è un camionista emigrato, l’altro uno studioso della vita contadina. L’incontro è l’occasione per ricostruire e ripensare alla scomparsa di un loro compaesano, avvenuta durante l'occupazione delle terre degli anni Quaranta e Cinquanta. Ma è chiaro che ad essere scomparso è tutto un mondo, rimasto uguale a se stesso per secoli. Mentre la scoperta dello studioso di essere implicato nella tragedia del compaesano ucciso che altro può essere se non l’espressione dello coinvolgimento del testimone-antropologo nella fine di un mondo che è stato anche il suo?

A chi gli voleva far dire che una cosa è scrivere di antropologia e cosa diversa far letteratura, Giulio Angioni rispondeva chiamando in causa l’esempio di altri illustri “colleghi” che non avevano chiesto a nessuna autorità accademica l’autorizzazione a raccontare le loro scoperte ed a esporre le loro ipotesi in forme letterarie. In effetti, il narrare letterario era diventato per lui col tempo il modo prevalente per dire ciò che gli premeva. E i romanzi il modo preferito di rivolgersi a un pubblico di lettori che sapeva largo. Un pubblico che lo seguiva soprattutto come romanziere, ma che lo sapeva autorevolissimo studioso e, soprattutto, intellettuale presente su tutti i temi, culturali e politici che hanno animato nell’ultimo cinquantennio la d’scussione pubblica in Sardegna.

Giulio Angioni è intervenuto più volte – anche sulle pagine della Nuova Sardegna – a leggere fatti di cronaca, fornendo strumenti di interpretazione che andavano al cuore del problema. E’ intervenuto con fermezza e autorità sul tema della lingua sarda, dicendo con l’abituale compostezza cose molto sagge: che l’italiano in Sardegna è già un italiano sardo inconfondibile per pronuncia, lessico sintassi e stile; che questo italiano sardo unifica linguisticamente tutti i sardi, rendendo sostanzialmente inutile l’ufficializzazione di una qualche forma di sardo; che le lingue, infine, hanno tendenze incoercibili e che è impossibile imbrigliarle in leggi e decreti. E a chi lo accusava di aver tradito la patria (non solo linguista) sarda rispondeva con l’usuale eleganza, senza entrare in polemica ma con i fatti.

Un intellettuale e uno scrittore, Giulio Angioni, che è impossibile immaginare rinchiuso nel suo studio, capace com’era di gettarsi a corpo morto nelle imprese più complicate. Lo ricordiamo tra i fondatori del Festival di Gavoi darsi da fare, insieme ad alcuni scrittori cagliaritani e a un coraggioso gruppo di giovani gavoesi, per la prima edizione del Festival. E poi, in quel magico primo giorno, assistere letteralmente estasiato alla capacità della letteratura di emozionare la gente. E lo ricordiamo anche, lui così lontano dalla politica politicante, dire la sua nel gruppo di intellettuali schieratisi a sostegno del programma di Renato Soru nelle elezioni regionali del 2004.

Ancor meno elitario si è dimostrato nei circa cinquant’anni di vita universitaria, principalmente trascorsi nella Facoltà di Lettere dell'Università di Cagliari ma che lo hanno visto anche insegnare in università inglesi e francesi. Parte integrante e tutt’altro che secondaria di quest’attività, il ruolo ricoperto all’interno del gruppo di studiosi, primo fra tutti Alberto Mario Cirese, che, partendo da Cagliari, hanno recitato un ruolo di primissimo piano nell'ambito dell'antropologia italiana ed europea.

Giulio Angioni ci ha lasciato molti libri da leggere, saggi che potevano essere romanzi, romanzi che potevano essere saggi. Ci ha lasciato articoli su riviste scientifiche e una quantità di articoli di giornale. Ha affrontato molti temi, ma quello su cui si è forse soffermato di più è il significato e l’emozione di essere sardi. Sì, questo ci ha insegnato, che l’essere sardi è certo un’emozione, ma è un’emozione le cui ragioni vanno comprese a fondo se vogliamo viverla in modo non conflittuale e inconcludente. Ma tutto questo non potrebbe essere detto meglio di come l’ha detto Giulio: «Noi sardiabbiamo il problema del nostro posto al mondo, come molti altri, certo, ma l’abbiamo. A me pare l’abbiamo di più. Io comunque di essere sardo continuo sia a vergognarmi che a essere orgoglioso, sia a sentirmene fortunato che a sentirmene diminuito. Forse, in quanto sardo, riesco però anche sentirmi senza troppe difficoltà, oggi, parte del mondo che diciamo occidentale, e questo è già un bel problema identitario nel mondo di oggi visto come un tutto, qui a due passi dall’Africa simbolo europeo moderno di ogni arretratezza».

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