La Nuova Sardegna

Gli ovili di Benito Urgu: «Via pecore e gambali»

di Andrea Massidda
Gli ovili di Benito Urgu: «Via pecore e gambali»

La sera andavano in via Veneto. E si presentavano lì – era l'epoca della Dolce Vita, nei primi anni Sessanta – vestiti con il tipico costume sardo a cantare il “Gambale twist”, motivetto che invitava...

29 aprile 2017
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La sera andavano in via Veneto. E si presentavano lì – era l'epoca della Dolce Vita, nei primi anni Sessanta – vestiti con il tipico costume sardo a cantare il “Gambale twist”, motivetto che invitava i pastori a infischiarsene di ovili e pecore per lasciarsi trascinare dal ballo del momento. Chissà, forse a Benito Urgu e compagni in quelle torride serate romane sarà anche capitato di incrociare Federico Fellini, o di finire in un’inquadratura del leggendario paparazzo Tazio Secchiaroli. Ma il punto è un altro: di sicuro la band dei Barrittas (nella foto) interpretò il primissimo sussulto di un mondo – quello degli allevatori abituati al silenzio delle campagne – che voleva cambiare, adeguarsi ai tempi, liberarsi da certe gabbie antropologiche. Fu una vera e propria scossa culturale che oltretutto venne accolta con entusiasmo, sia in Sardegna sia nel Continente. «Ci chiamavano ovunque e ovunque facevamo il pienone – ricorda il leader della band –, poi il fatto che negli spettacoli indossassimo gli abiti tradizionali e cantassimo in limba veniva visto dai nostri compaesani come una sorta di orgogliosa ribellione, mentre fuori dall'isola come un elemento esotico».

Erano tempi così, quelli. Segnati da una leggera vertigine e da un pizzico di sfrontatezza, specie per sei ragazzi che si erano trovati, all'improvviso, proiettati da una macelleria di Santa Giusta nel cuore della mondanità internazionale. «Naturalmente il nostro repertorio comprendeva anche molte cover e, modestia a parte, certe canzoni dei Beatles le facevamo meglio degli stessi Beatles», racconta ancora Benito Urgu facendosi una gran risata. Tra gli affezionatissimi fan dei Barrittas c'erano artisti come Bruno Martino, Fred Bongusto, Little Tony.

Quando tornava in Sardegna il gruppo etnobeat si ritrovava invece nel bar di Angelo Ibba, a Oristano – crocevia nevralgico della creatività campidanese –, un luogo dove si poteva tirare sino a tardi e fra scherzi, bevute e qualche scazzottata arrivavano le idee per un nuovo brano di successo. Lì, per intendersi, nacque la canzone “Whiskey, birra e Johnny Cola”, nella quale venivano narrate le grottesche gesta di “su conti, su baroni e s'autista”, tre fighetti ante litteram che dopo aver ostentato soldi e automobili di papà, finivano per ordinare al cameriere una gazzosa. Per non parlare, poi, della canzone “Arizona”, sul mito americano che aveva fatto breccia anche nella terra dei nuraghi: «La componemmo per la visita a Sassari del sindaco di Phoenix, non potete immaginare che spasso».

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