La Nuova Sardegna

I segreti di Siddura vermentino superstar

di Guido Piga
I segreti di Siddura vermentino superstar

La storia del bianco gallurese in evidenza all’ultimo Vinitaly

29 aprile 2017
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di Guido Piga

LUOGOSANTO

Sebastián e Juan Maria Siddùra erano pastori e di loro abbiamo qualche notizia, negli archivi di Stato, perché nel 1742 risultavano essere soci minori della nobile famiglia dei Pes di Tempio, proprietaria di sconfinate aree in ogni angolo della Gallura. I Siddùra accudivano capre, mucche e maiali. In quelle terre vicino a Luogosanto che portano il loro nome, tutti hanno sempre fatto così. Solo i Battino, sessant’anni fa, hanno cominciato a vinificare, a tirare fuori del vermentino che poi rivendevano alla Maddalena.

La cantina Siddùra, che oggi produce 200 mila bottiglie all’anno ed è reduce dal Vinitaly in cui quattro suoi vini sono finiti nella classifica del 5 Star Wines sulle dieci etichette migliori d'Italia, nasce nel solco di questa tradizione, «affonda le radici - per dirla con l’amministratore Massimo Ruggero - in questo humus».

Ruggero è gallurese, era un imprenditore edile. Lavorava in Costa Smeralda, collaborava alla costruzione o alla ristrutturazione di ville. In una di queste, conobbe Nathan Gottesdiener, tedesco, imprenditore della moda. Divennero amici. «Io gli parlavo dell’edilizia, Gottesdiener mi disse: “Non ha i capito niente: il futuro non è l’edilizia, è l’agricoltura - racconta Ruggero -. Quella sera, tornato a casa, dissi a mia moglie: “Da domani faccio l’agricoltore”. Lei mi guardò male, pensava fossi impazzito». Era il 2008.

Ruggero e Gottesdiener divennero soci, comprarono i terreni di Siddùra, sotto Monti di lu preti, vicino agli stazzi Sfossato, Cultisia, Marianu Siddùra. «Ricordo l’emozione dell’atto dal notaio, con i vecchi proprietari Battino e Sanna, una ventina, uno dei quali aveva ereditato quelle terre da una nonna negli anni ’40, come regalo di matrimonio - dice Ruggero -. E poi gli inizi, la scelta di un enologo giovane, toscano, allievo di Tachis, che si chiama Dino Dini; l’acquisto di altri terreni, la ristrutturazione di uno stazzo».

Siddùra ha da sempre puntato sul marketing, sulla pubblicità. Per dire, in questi giorni sono in corso due campagne, una sul “Corriere della sera”, l’altra sul “Sole 24Ore”. «Siamo nati per promuovere un brand che esprimesse al massimo, con le sue bottiglie, il territorio - spiega Ruggero -. Perché abbiamo voluto che i clienti identificassero la cantina per il suo marchio, non per le sue bottiglie».

Siddùra significa, in gallurese, “sella”, come la forma del vigneto di 22 ettari nelle campagne di Luogosanto, in una collina dolce, accanto alla statale 133 fra Tempio e la foce del Liscia. «Ma c’è anche un’altra lettura: può voler dire “tesoro nascosto” - dice Ruggero -. Le due storie ci piacciono allo stesso modo».

La Sardegna e l’Italia sono i mercati di Siddùra, ma lo stanno diventando la Germania, la Svizzera, gli Stati Uniti. «Un passo alla volta, prima viene la qualità - chiude Ruggero -: facciamo così fin dalla prima annata del 2011». Da Maìa, il primo vino lanciato anche negli hotel della Costa Smeralda, «perché la Starwood lo apprezzò» e perché da lì tutto era partito, del resto.

. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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