La lingua dei media L’inatteso ritorno delle classi sociali
di Daniela Paba
Da giovedì un convegno internazionale a Cagliari Un’identità complessa, oltre le etnie e i generi
27 settembre 2017
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CAGLIARI. Ha senso oggi parlare di classi sociali? E come si riflette l’appartenenza di classe nella lingua che parliamo e che scriviamo? Di questi temi, in un’ottica globalizzata e quindi mondiale, si occupa “Lingua e classe sociale”, il convegno internazionale che animerà le aule del corpo aggiunto della Facoltà di Lettere a Sa Duchessa da giovedì 28 a sabato 30. Realizzato in collaborazione con il Centro di ricerca interuniversitario I-Land, che dall’Orientale di Napoli riunisce gli atenei di Cagliari e diSassari, il convegno è sponsorizzato dalla Cgil sarda e organizzato in collaborazione con l’associazione culturale “Antonio Gramsci” di Cagliari.
La proposta di discutere di “Lingua e classe sociale” nasce dagli studi sulla vulgata neoliberista e antisindacale di questi ultimi decenni, che ha eclissato il conflitto di classe come manifestazione di interessi e di visioni politiche contrapposti. «Nella nostra società la divisione tra le classi sociali è stata negata dalla fine degli anni Sessanta – spiega Claudia Ortu, docente di Lingua inglese nel Dipartimento di Filologia Letteratura e Linguistica dell’Università di Cagliari – e se il discorso egemonico nega l’esistenza delle classi sociali diventa difficile recuperare coscienza delle differenze. Per questo abbiamo deciso di rimettere al centro il concetto di “classe” allargando la sfera degli interventi dagli studi di linguistica alle arti e alla letteratura».
Delle classi sociali e di come gli uomini si raccontano e rappresentano si sono occupati spesso i sociolinguisti in un’ottica descrittiva, attenta, ad esempio, al fenomeno delle migrazioni. Più in generale, la sociolinguistica ha indagato l’utilizzo diverso della lingua tra differenti classi sociali, ma il convegno ha l’ambizione di aprire il campo di analisi alle classi sociali così come vengono descritte nei mass media o nella letteratura, nei discorsi egemonici ma anche in quelli di resistenza e opposizione. Il tema scelto dagli organizzatori del convegno, poco battuto e trascurato dall’accademia, con la Brexit e con l’elezione di Donald Trump negli Usa ha riportato in auge la parola “classe” sui giornali, in particolare su quelli di area anglofona. «Nei commenti dei mass media si torna a parlare di classe, seppure per incolpare la working class, la classe operaia bianca, di aver votato Trump e la Brexit perché abbandonata e dimenticata dalla politica – spiega ancora Claudia Ortu –. Riemerge quella stessa classe operaia che fino a poco prima per i media non esisteva».
Un’altra novità è legata al fatto che ora, dopo anni in cui gli studi sul discorso pubblico si sono soffermati soprattutto sulle questioni identitarie e di genere, sembra che finalmente le politiche sull’identità si possano leggere unite a quelle di classe. Si torna dunque a un’identità sfaccettata, che, senza negare differenze di etnia e di genere, riprende a essere analizzata in una dimensione che tiene conto del sistema di produzione e dei rapporti tra le classi.
Tra gli interventi più attesi, giovedì alle 15,30, quello di Mosa Phadi, che ha per titolo “Pakhati. Soweto’s Middling Class” e che è supportato da un docufilm girato dalla stessa studiosa in Sudafrica. Colpita dal fatto che nelle interviste tante persone si definivano classe media, Phadi ha realizzato un filmato in cui segue due donne – una che vive in una casa di lamiera col marito disoccupato e alcolizzato, l’altra che vive in un quartiere residenziale e gira su un’auto di lusso – che pure si definiscono entrambe middle class. Il film segue le due donne con un montaggio a contrasto.
Venerdì alle 9 il linguista olandese Teun Van Dijk analizzerà le prassi linguistiche dei movimenti contemporanei in una prospettiva capovolta rispetto alle interpretazioni del discorso “razzista” che è il campo di indagine dello studioso. Alle ore 15 dello stesso giorno, Héctor Muñoz, sociolinguista messicano, racconterà il plurilinguismo dei migranti latini, che riflettono un’aspettativa di equilibrio e insieme una simbiosi asimmetrica nella diseguaglianza di classe. Sabato mattina alle 9, Mauro Pala, docente di Letteratura inglese, offrirà una lettura dell’ “Ulisse” di Joyce attraverso le categorie gramsciane di rappresentazione delle classi sociali.
Attorno alle sezioni plenarie che danno conto dell’ampio spettro di approcci al tema del convegno, nei tavoli paralleli si affronteranno altri argomenti. Tra i quali, le canzoni nate intorno alle lotte operaie e il rapporto tra musica colta e musica popolare, ma anche la variegata auto rappresentazione dei popoli nelle gerarchie operanti in America latina, in Africa e in Medio Oriente. Insieme con una rivisitazione dei classici – Marx, Gramsci, Benjamin e Brecht – troveranno spazio una lettura semiotica dei murales sardi, un’analisi del discorso televisivo dei programmi della BBC, uno studio della rappresentazione di classe in alcuni film interpretati da Anna Magnani.
La proposta di discutere di “Lingua e classe sociale” nasce dagli studi sulla vulgata neoliberista e antisindacale di questi ultimi decenni, che ha eclissato il conflitto di classe come manifestazione di interessi e di visioni politiche contrapposti. «Nella nostra società la divisione tra le classi sociali è stata negata dalla fine degli anni Sessanta – spiega Claudia Ortu, docente di Lingua inglese nel Dipartimento di Filologia Letteratura e Linguistica dell’Università di Cagliari – e se il discorso egemonico nega l’esistenza delle classi sociali diventa difficile recuperare coscienza delle differenze. Per questo abbiamo deciso di rimettere al centro il concetto di “classe” allargando la sfera degli interventi dagli studi di linguistica alle arti e alla letteratura».
Delle classi sociali e di come gli uomini si raccontano e rappresentano si sono occupati spesso i sociolinguisti in un’ottica descrittiva, attenta, ad esempio, al fenomeno delle migrazioni. Più in generale, la sociolinguistica ha indagato l’utilizzo diverso della lingua tra differenti classi sociali, ma il convegno ha l’ambizione di aprire il campo di analisi alle classi sociali così come vengono descritte nei mass media o nella letteratura, nei discorsi egemonici ma anche in quelli di resistenza e opposizione. Il tema scelto dagli organizzatori del convegno, poco battuto e trascurato dall’accademia, con la Brexit e con l’elezione di Donald Trump negli Usa ha riportato in auge la parola “classe” sui giornali, in particolare su quelli di area anglofona. «Nei commenti dei mass media si torna a parlare di classe, seppure per incolpare la working class, la classe operaia bianca, di aver votato Trump e la Brexit perché abbandonata e dimenticata dalla politica – spiega ancora Claudia Ortu –. Riemerge quella stessa classe operaia che fino a poco prima per i media non esisteva».
Un’altra novità è legata al fatto che ora, dopo anni in cui gli studi sul discorso pubblico si sono soffermati soprattutto sulle questioni identitarie e di genere, sembra che finalmente le politiche sull’identità si possano leggere unite a quelle di classe. Si torna dunque a un’identità sfaccettata, che, senza negare differenze di etnia e di genere, riprende a essere analizzata in una dimensione che tiene conto del sistema di produzione e dei rapporti tra le classi.
Tra gli interventi più attesi, giovedì alle 15,30, quello di Mosa Phadi, che ha per titolo “Pakhati. Soweto’s Middling Class” e che è supportato da un docufilm girato dalla stessa studiosa in Sudafrica. Colpita dal fatto che nelle interviste tante persone si definivano classe media, Phadi ha realizzato un filmato in cui segue due donne – una che vive in una casa di lamiera col marito disoccupato e alcolizzato, l’altra che vive in un quartiere residenziale e gira su un’auto di lusso – che pure si definiscono entrambe middle class. Il film segue le due donne con un montaggio a contrasto.
Venerdì alle 9 il linguista olandese Teun Van Dijk analizzerà le prassi linguistiche dei movimenti contemporanei in una prospettiva capovolta rispetto alle interpretazioni del discorso “razzista” che è il campo di indagine dello studioso. Alle ore 15 dello stesso giorno, Héctor Muñoz, sociolinguista messicano, racconterà il plurilinguismo dei migranti latini, che riflettono un’aspettativa di equilibrio e insieme una simbiosi asimmetrica nella diseguaglianza di classe. Sabato mattina alle 9, Mauro Pala, docente di Letteratura inglese, offrirà una lettura dell’ “Ulisse” di Joyce attraverso le categorie gramsciane di rappresentazione delle classi sociali.
Attorno alle sezioni plenarie che danno conto dell’ampio spettro di approcci al tema del convegno, nei tavoli paralleli si affronteranno altri argomenti. Tra i quali, le canzoni nate intorno alle lotte operaie e il rapporto tra musica colta e musica popolare, ma anche la variegata auto rappresentazione dei popoli nelle gerarchie operanti in America latina, in Africa e in Medio Oriente. Insieme con una rivisitazione dei classici – Marx, Gramsci, Benjamin e Brecht – troveranno spazio una lettura semiotica dei murales sardi, un’analisi del discorso televisivo dei programmi della BBC, uno studio della rappresentazione di classe in alcuni film interpretati da Anna Magnani.