La Nuova Sardegna

La continuità tra Regno sardo e Repubblica

di Angelo Castellaccio
Un ritratto di Vittorio Amedeo II di Savoia
Un ritratto di Vittorio Amedeo II di Savoia

Da venerdì 1° dicembre con la Nuova il sesto di otto volumi. Dal 1324 una linea che arriva alla Costituzione 

01 dicembre 2017
5 MINUTI DI LETTURA





Col sesto volume della “Storia di Sardegna” di Francesco Cesare Casula si entra nel cuore della nuova storiografia da elaborata dall’autore, chiamata “Dottrina della statualità”, preannunciata nel primo volume. È un metodo di “lettura” della storia (soprattutto della storia patria) che rivisita gli avvenimenti (le res gestae dei Latini) e li interpreta (historia rerum gestarum) riferendoli non alla geografia fisica (isola, penisola, continente, ecc.) o a un preciso arco temporale, come usano fare gli altri storici nella ricostruzione delle loro “storie”, ma ad uno Stato riconoscibile per il suo titolo ed il suo nome (ad esempio: Regno di Spagna, Repubblica Francese, Principato di Monaco, ecc.), senza mai abbandonarlo nel racconto storico, dalla nascita fino alla fine.

UNA SVOLTA

L’autore mette in guardia, però, dal non confondere lo Stato, formato da un popolo stanziato in un determinato territorio, regolamentato ed ubbidiente alle stesse leggi, con l’aspetto interiore dello Stato, quello che in Diritto si chiama l’ordinamento amministrativo dello Stato, che indica come lo Stato è costituito, situazione che può cambiare nel tempo senza che l’entità istituzionale dello Stato ne abbia a soffrire. Ad esempio: se lo Stato aumenta o diminuisce di popolazione o di territorio, o cambia forma costituzionale passando da regno in repubblica, ecc., o cambia dinastia regnante, non per questo cambia di personalità giuridica, potendo continuare a rimanere come prima insieme con gli altri Stati della terra nelle attuali organizzazioni internazionali.

INSIEME CON LA CORSICA

Il risultato che si ottiene applicando queste nozioni di Diritto al “caso Sardegna-Italia” è sconvolgente; si scopre infatti che l’attuale nostro Stato (la Repubblica italiana, per intenderci) è sempre quello sardo nato a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324 col titolo e nome di Regno di Sardegna e Corsica (il nome Corsica poi si perde), anche se il 17 marzo 1861, dopo 537 anni di vita, gli viene cambiato il nome – ma non la personalità giuridica, si badi – in Regno d’Italia, e quindi, dal 1946, attraverso un referendum popolare, in Repubblica italiana. Il 19 giugno 1324, in sostanza, nasce di diritto e di fatto l’Italia odierna.

BATTAGLIA DECISIVA

Nato dopo il vittorioso esito della battaglia di Lutocisterna, con la quale l’esercito catalano-aragonese sbaraglia quello pisano, il Regno di Sardegna occupa originariamente solo una parte del territorio sardo, comprendendo approssimativamente i territori degli ex regni giudicali di Càlari e di Gallura più l’area intorno a Sassari, col Comune schieratosi fin dal maggio 1323 col Regno di Sardegna. Successivamente, per continue annessioni territoriali, si estende a tutto il territorio isolano fino all’8 agosto 1720, giorno in cui in esecuzione del trattato di Londra passa a Vittorio Amedeo II di Savoia, che vi aggiunge i suoi Stati ultramarini: ducati di Savoia, Aosta, Monferrato e parte di quello di Milano, principato di Piemonte, Nizza ed Asti più lo storico marchesato di Saluzzo.

UNIONE DI STATI

Seguendo sostanzialmente lo stesso percorso istituzionale già della Corona d’Aragona, il Regno di Sardegna diviene – così scrive Casula – «uno Stato composto, formato dall’unione di più Stati che conservano la propria qualità di Stati, ma senza costituire un nuovo subbietto ad essi superiore, un nuovo Stato». Ridottosi per estensione alla sola Sardegna negli anni 1798-1814 a causa della conquista napoleonica dei territori ultramarini, col Congresso di Vienna (1815) il Regno di Sardegna recupera i territori persi aggiungendovi il ducato di Genova, nel frattempo diventato Repubblica ligure. Il risultato che ne discende è sbalorditivo, leggendosi nei testi scolastici del tempo che questo regno «confina al nord colla Svizzera, all’est col governo di Milano nell’impero d’Austria e col ducato di Parma, al sud col Mediterraneo e all’ovest colla Francia». I fiumi più consistenti, poi, sono il Po, il Ticino, il Tirso ecc., e le città più importanti Torino, Cagliari, Casale, ecc. A seguito delle vittoriose guerre risorgimentali questo regno perde il ducato di Savoia e la contea di Nizza acquisendo però la Lombardia, la Romagna, le Marche, l’Umbria, i ducati di Parma e Modena, il granducato di Toscana ed il Regno delle due Sicilie, assumendo così, il 17 marzo 1861, il nome di Regno d’Italia, che d’ora in poi – è risaputo – tramite altre guerre acquisisce la conformazione attuale cambiando nome in Repubblica italiana.

RIVOLTE ANTIFEUDALI

Ritornando ora ai primi “passi” di questo regno, la sua storia, che nasce nel 1324, prosegue con i re Giacomo I (di Sardegna), Alfonso I e Pietro I e con le ribellioni dei sardi regnicoli oppressi dal feudalesimo nelle campagne e da vessatori ufficiali regi nelle città e villaggi più consistenti, passando per la conquista di Alghero e la pluridecennale guerra contro il Regno di Arborea, impegnato nell’intento “nazionalista” di unificare la Sardegna sotto un unico scettro, questa volta sardo. Si completa con l’ascesa al trono di Giovanni I e del fratello Martino I, la crisi dinastica della famiglia reale aragonese e la vittoria di Sanluri (1409), concludendosi con la presa di Oristano, l’acquisizione per denaro (nel 1420) di quanto rimane dello storico Regno giudicale di Arborea, quindi di Bosa e Castel Genovese. Ne discende una pesante crisi demografica ed economica che lascia esausti entrambi i contendenti, con conseguenze peggiori, evidentemente, per la Sardegna, più povera di risorse rispetto al più consistente bacino demografico e dimensione territoriale degli iberici catalano-aragonesi.

FAME E INQUISIZIONE

Le vicende del Cinquecento e del Seicento sono: la drastica contrazione della popolazione isolana per lunghi decenni di guerre e vessazioni da parte dei feudatari; epidemie ricorrenti, impoverimento delle campagne e dei commerci a seguito dell’espulsione degli Ebrei (1492), solo parzialmente compensata dall’organizzazione delle associazioni artigianali urbane; frequenti assalti dei Barbareschi; malgoverno e formazione di un consistente ed improduttivo nugolo di ecclesiastici; emarginazione dell’isola dalle più importanti correnti di traffico dopo la scoperta dell’America (1492), che sposta ora verso l’Oceano Atlantico il baricentro delle attività mercantili: Insomma, una Sardegna anonima, impoverita anche culturalmente per i condizionamenti del Tribunale dell’Inquisizione, immersa nella cultura spagnol dei ceti dirigenti ma, nella società civile, sempre più emarginata dalle leve del potere, sempre più lontana dalla Corona.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
Elezioni comunali 

Ad Alghero prove in corso di campo larghissimo, ma i pentastellati frenano

Le nostre iniziative