La Nuova Sardegna

Quando l’Armata Rossa giunse ad Auschwitz

Quando l’Armata Rossa giunse ad Auschwitz

Ecco cosa accadde il 27 gennaio del 1945: i soldati sovietici scoprono l’inferno del campo di sterminio

26 gennaio 2018
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SASSARI. Il 27 gennaio del 1945 i soldati sovietici della Prima Divisione Ucraina giungono davanti all’ingresso di Auschwitz-Birkenau. Sanno che si tratta di un lager, naturalmente. E sanno anche che lì dentro sono morte molte persone. Ma non immaginano che una volta spalancate le porte di quel grigio recinto si troveranno catapultati nel più doloroso girone dell’inferno. Cadaveri ammassati ovunque, orfanelli che vagano per il campo alla disperata ricerca di cibo e di carezze, adolescenti così sfiancati dal lavoro e dalla fame da sembrare sessantenni, uomini cui è stato tolto tutto, dalla famiglia alla dignità. «Una bolgia che neanche Dante Alighieri era arrivato a prevedere, tanta era la bassezza», scrisse Giorgio Pressburger.

All’apertura dei cancelli, nessuno dei 7.650 sopravvissuti ai forni crematori e alle camere a gas, riesce a fiatare. Non si ode alcun grido di gioia o dolore, non ci sono scene di esultanza o commozione, niente sorrisi e niente lacrime. I pochi testimoni che ancora oggi possono raccontare quell’istante parlano di un mutismo generale. Il regno del silenzio. Con i soldati dell’Armata Rossa, increduli, che provano a capire guardando negli occhi gli internati. E gli internati, increduli, che provano a capire guardando negli occhi i soldati sovietici.

Ma capire che cosa? Forse come l'Uomo si sia potuto macchiare di simili atrocità? O forse dov’era Dio, qualsiasi Dio, quando migliaia di bambini venivano strappati alle loro mamme e poi gasati o usati per esperimenti pseudo-scientifici? Forse. «Dio era evidentemente distratto, ma anche la Royal air force non scherzava, vedente e cieca», ha scritto Enrico Deaglio. Si riferiva a quella fotografia che mostra Auschwitz come appariva dall’alto a uno sconosciuto pilota ricognitore inglese mercoledì 23 agosto 1944. Una giornata limpida che lasciava intravedere tutto. Perché nessuno pensò di bombardare la linea ferroviaria che portava lì dentro?

Ora in buona parte del mondo occidentale proprio il 27 gennaio si celebra la “Giornata della memoria”. Una necessaria pausa di riflessione sugli orrori dell’Olocausto, il genocidio nel quale persero la vita circa sei milioni di ebrei e centinaia di migliaia di detenuti politici, zingari, omosessuali e altre minoranze invise al nazismo. Lo si fa anche per meditare «che questo è stato», come ci ha ordinato di fare Primo Levi in una sua celebre poesia. (andrea massidda)

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