La Nuova Sardegna

«Il mio Arpagone erede del cabaret degli anni Settanta»

di Monica De Murtas
«Il mio Arpagone erede del cabaret degli anni Settanta»

Parla Alessandro Benvenuti, in tournée in Sardegna  con la commedia di Molière reinterpretata da Ugo Chiti

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SASSARI. Arriva un altro grande classico nel cartellone di prosa della Cedac: “L’avaro” di Molière nella messa in scena della compagnia di Arca Azzurra Teatro. Nel ruolo del protagonista Alessandro Benvenuti diretto in questa nuova prova da Ugo Chti. La celebre commedia – incentrata su uno dei vizi capitali – debutterà mercoledì 31 al Teatro Tonio Dei di Lanusei per poi fare tappa giovedì 1° febbraio al CineTeatro di Palau, sempre alle 21.

Benvenuti, attore e regista teatrale e cinematografico amatissimo dal pubblico, esordisce nel cabaret negli anni settanta con il trio dei Giancattivi, per poi proseguire la sua carriera sul grande schermo. «Per ricostruire l'identità di Arpagone – dice Benvenuti – ho lavorato a lungo insieme ad Ugo Chiti abbiamo scavato molto per fare emergere il personaggio che vedrete in scena».

Come avete affrontato la rilettura di un testo di 400 anni fa?

«Sembrerà strano ma non è stato difficile e credo che il risultato finale sia davvero incoraggiante per chi ama lavorare sui classici. Ovunque siamo stati abbiamo raccolto un consenso caloroso da parte del pubblico. Questo è dovuto innanzitutto al modo di lavorare di Chiti; lui lo chiama “rispettoso tradimento”, perché si basa su un attento lavoro di sintesi del testo originale. In questo caso Chiti ha anche inventato un prologo e un epilogo e ha approfondito i personaggi minori creando degli intrecci sentimentali che nel testo originale non ci sono ma che servono a rendere più interessante la trama».

Non c'è il rischio di snaturare il testo?

«Assolutamente no. Chi conosce l’originale lo ritroverà in questa versione che ha il pregio di approfondire alcuni elementi che Molière, per la fretta di consegnare il lavoro, non aveva potuto sviluppare. Il finale, ad esempio, resta sospeso nella versione classica; qui invece la storia si conclude con un’acuta riflessione sulle malattie del denaro. I vari agganci narrativi tra i personaggi danno ritmo e vivacità alla vicenda, le donne sono protofemministe, i servi sono protosindacalisti. Il confronto con un testo così rappresentato ci ha spinto a scavare nei personaggi e nella struttura dell’opera per liberarla dagli stereotipi e restituirla nuova ma autentica, forse più psicologica, ma solo per amplificare il sarcasmo e le intenzioni di Molière».

Come sarà il suo Arpagone?

«Quello che porto in scena è un Arpagone totalmente nuovo. Intanto non ha età, non è il vecchio che siamo abituati a conoscere. La sua età biologica cambia a seconda del suo stato d'animo. Se tocca il denaro diventa giovanissimo, se lo perde invecchia. E poi ha il vigore proprio dell’investitore più che dell’avaro, è più dedito alla finanza che all’accumulo. Il suo più grande dolore è che il figlio non capisca la bellezza dell’investire. Tutto ciò è reso in modo molto comico. Il personaggio ha un piglio vivace, si passa di battuta in battuta, è un Arpagone pop ma anche rock se vogliamo. “Esce” dal palcoscenico e con la sua energia contagia il pubblico, che risponde ed entra dentro la storia. Il personaggio è quello di Molière, vi garantisco, ma senza trombonismi, spurgato da ogni orpello».

Molière nei suoi lavori amava far ridere mettendo alla berlina difetti e manie in cui il pubblico poteva riconoscersi. Un tipo di comicità che funziona ancora oggi?

«Funziona e funzionerà sempre; il comico, il cabarettista fanno questo, portano sul palco i propri vizi e le proprie manie, ma in realtà parlano anche di quelli degli spettatori, ed è sempre divertente sdrammatizzare, riderci su».

Il Cabaret degli anni Settanta-Ottanta, di cui è stato tra i protagonisti in tv, non esiste più?

«In tv sono cambiati i ritmi, deve essere tutto molto veloce. Noi invece nei nostri sketch avevamo tempo per raccontare storie, erano dei mini atti unici. Ora c’è la tendenza a dar vita a personaggi che parlano per monologhi. Il cabaret è cambiato e il suo posto non è più in televisione, ma è ritornato al teatro. I giovani comici poi ora nascono in rete. Chi fa ridere i ragazzi di sono gli youtuber».

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