Lo scandaglio sulle immagini Nasce il database “Space9”
di Grazia Brundu
Sonia Borsato, critica d’arte e docente dell’Accademia, spiega la nuova iniziativa «Prima selezione con autori nati dopo il 1980, per scoprire nuovi linguaggi»
29 gennaio 2018
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SASSARI. È online da poco più di due settimane, vuole essere un archivio per giornalisti, curatori di gallerie, semplici curiosi alla ricerca di notizie sulla fotografia e i fotografi attivi in Sardegna.
Si chiama Space9 ed è un work in progress. Per ora, infatti, le biografie, i curriculum e gli scatti archiviati si limitano a venticinque fotografi, tutti al di sotto dei quarant’anni d’età. Col tempo, però, il database (www.space9.it) si arricchirà di nuovi nomi, perché l’ambizione è quella di realizzare una mappatura omogenea della fotografia contemporanea dell’isola. Così da raccontare «un terreno fertile, curiosissimo, molto colto che riesce ad essere cosmopolita pur non perdendo i riferimenti con il locale», spiega Sonia Borsato, critica e docente di Storia dell’Arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Sassari, ideatrice e curatrice di Space9 insieme al giornalista Giovanni Follesa.
Il progetto (alla redazione e alla grafica dell’archivio hanno collaborato Alessandra Puddu e lo studio Nou Design) è supportato dalla Fondazione di Sardegna ed è stato presentato in anteprima a Cagliari con una mostra che si è conclusa pochi giorni fa nella sede della Fondazione Bartoli Felter.
Space9 ha preso il via, spiega Borsato, «con una prima selezione di nomi con cui avevamo già collaborato e che adesso hanno partecipato alla collettiva cagliaritana. Sono tutti fotografi nati non prima del 1980, una data che segna uno spartiacque tra gli anni di piombo e il nuovo edonismo reaganiano. È la prima generazione – prosegue – ad avere un rapporto più complesso con i media, la prima cresciuta con i cartoni animati e con un immaginario uniformato. Per questo ci è sembrato importante iniziare con il 1980, ma niente ci vieta, più avanti, di fare un passo indietro per includere anche chi è nato negli anni Settanta».
Di sicuro la mostra presentata a Cagliari, e che in futuro dovrebbe toccare altri centri della Sardegna, «è solo un punto di partenza – sottolinea la curatrice –. Adesso ci piacerebbe che nuovi fotografi ci mandassero i loro progetti, in modo da poter arricchire l’archivio online. Vogliamo che il nostro sia un progetto inclusivo». Certo, per vedere il proprio nome su Space9, accompagnato dai propri lavori, non basta possedere una fotocamera, né definirsi “fotografo” sui profili social. Anche ai più giovani è richiesto un minimo di curriculum, o degli studi accademici, o il fatto di avere già intrapreso un percorso curatoriale, per quanto breve per ragioni anagrafiche. E poi, proprio perché la tecnica fotografica, tra cellulari e fotocamere a basso costo, è ormai alla portata di tutti, per farsi notare occorre avere uno sguardo profondamente individuale. Per Sonia Borsato, infatti, «la semplicità del mezzo non deve erroneamente essere presa come semplicità del messaggio. Al contrario, è necessario che quest’ultimo sia sempre più attento e più complesso. Con qualunque mezzo la si fotografi, questa realtà necessita di sguardi che siano attivi. La televisione ci ha ormai da tempo abituati alla passività, a subire il racconto di una vita, mentre invece adesso più che mai sono fondamentali i giovani pensatori, i giovani visionari».
Venticinque, per ora, Sonia Borsato e Giovanni Follesa li hanno già trovati. E con loro una prima risposta all’interrogativo evocato, come sottolineano i curatori, da quel numero 9 di Space9 simile a un punto di domanda. «L’archivio online – racconta Borsato – è un modo per interrogarci su cosa sta succedendo in Sardegna. C’è sempre l’idea che sia tutto un po’ bloccato, che le giovani generazioni siano indolenti, invece da questa prima ricognizione è venuto fuori che usano la fotografia non per mostrarsi ma per capirsi, quasi come se fosse un superpotere che permette di scandagliare un percorso esistenziale. Soprattutto per quanto riguarda il rapporto con il paesaggio, sia naturale che urbano, e l’agire sociale e politico del corpo in quello stesso paesaggio».
Forse venticinque nomi sono un po’ pochi per confermare una tendenza, ma i curatori hanno intenzione di «continuare a cercare con ricognizioni cicliche e possibilmente con resoconti annui».
Si chiama Space9 ed è un work in progress. Per ora, infatti, le biografie, i curriculum e gli scatti archiviati si limitano a venticinque fotografi, tutti al di sotto dei quarant’anni d’età. Col tempo, però, il database (www.space9.it) si arricchirà di nuovi nomi, perché l’ambizione è quella di realizzare una mappatura omogenea della fotografia contemporanea dell’isola. Così da raccontare «un terreno fertile, curiosissimo, molto colto che riesce ad essere cosmopolita pur non perdendo i riferimenti con il locale», spiega Sonia Borsato, critica e docente di Storia dell’Arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Sassari, ideatrice e curatrice di Space9 insieme al giornalista Giovanni Follesa.
Il progetto (alla redazione e alla grafica dell’archivio hanno collaborato Alessandra Puddu e lo studio Nou Design) è supportato dalla Fondazione di Sardegna ed è stato presentato in anteprima a Cagliari con una mostra che si è conclusa pochi giorni fa nella sede della Fondazione Bartoli Felter.
Space9 ha preso il via, spiega Borsato, «con una prima selezione di nomi con cui avevamo già collaborato e che adesso hanno partecipato alla collettiva cagliaritana. Sono tutti fotografi nati non prima del 1980, una data che segna uno spartiacque tra gli anni di piombo e il nuovo edonismo reaganiano. È la prima generazione – prosegue – ad avere un rapporto più complesso con i media, la prima cresciuta con i cartoni animati e con un immaginario uniformato. Per questo ci è sembrato importante iniziare con il 1980, ma niente ci vieta, più avanti, di fare un passo indietro per includere anche chi è nato negli anni Settanta».
Di sicuro la mostra presentata a Cagliari, e che in futuro dovrebbe toccare altri centri della Sardegna, «è solo un punto di partenza – sottolinea la curatrice –. Adesso ci piacerebbe che nuovi fotografi ci mandassero i loro progetti, in modo da poter arricchire l’archivio online. Vogliamo che il nostro sia un progetto inclusivo». Certo, per vedere il proprio nome su Space9, accompagnato dai propri lavori, non basta possedere una fotocamera, né definirsi “fotografo” sui profili social. Anche ai più giovani è richiesto un minimo di curriculum, o degli studi accademici, o il fatto di avere già intrapreso un percorso curatoriale, per quanto breve per ragioni anagrafiche. E poi, proprio perché la tecnica fotografica, tra cellulari e fotocamere a basso costo, è ormai alla portata di tutti, per farsi notare occorre avere uno sguardo profondamente individuale. Per Sonia Borsato, infatti, «la semplicità del mezzo non deve erroneamente essere presa come semplicità del messaggio. Al contrario, è necessario che quest’ultimo sia sempre più attento e più complesso. Con qualunque mezzo la si fotografi, questa realtà necessita di sguardi che siano attivi. La televisione ci ha ormai da tempo abituati alla passività, a subire il racconto di una vita, mentre invece adesso più che mai sono fondamentali i giovani pensatori, i giovani visionari».
Venticinque, per ora, Sonia Borsato e Giovanni Follesa li hanno già trovati. E con loro una prima risposta all’interrogativo evocato, come sottolineano i curatori, da quel numero 9 di Space9 simile a un punto di domanda. «L’archivio online – racconta Borsato – è un modo per interrogarci su cosa sta succedendo in Sardegna. C’è sempre l’idea che sia tutto un po’ bloccato, che le giovani generazioni siano indolenti, invece da questa prima ricognizione è venuto fuori che usano la fotografia non per mostrarsi ma per capirsi, quasi come se fosse un superpotere che permette di scandagliare un percorso esistenziale. Soprattutto per quanto riguarda il rapporto con il paesaggio, sia naturale che urbano, e l’agire sociale e politico del corpo in quello stesso paesaggio».
Forse venticinque nomi sono un po’ pochi per confermare una tendenza, ma i curatori hanno intenzione di «continuare a cercare con ricognizioni cicliche e possibilmente con resoconti annui».