La Nuova Sardegna

Nella vecchia stalla ho visto una reggia: Sa mandra, sogno barbaricino che diventa realtà

di Gianni Bazzoni
Nella vecchia stalla ho visto una reggia: Sa mandra, sogno barbaricino che diventa realtà

“Sa mandra”, così viene definito in sardo il posto dove si radunano le pecore per la mungitura. È lì che è nata la prima camera per il rinomato agriturismo di Alghero. Nel racconto di Rita l'essenza della forza di un popolo

19 maggio 2018
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Quando l’hanno vista la prima volta era una stalla: “Sa mandra”, così viene definito in sardo il posto dove si radunano le pecore per la mungitura. È lì che è nata la prima camera per l’agriturismo, a poche centinaia di metri dall’aeroporto di Alghero. Una scommessa persa per tutti, fiducia vicina allo zero. Solo loro ci credevano. Rita Pirisi e suo marito Mario Murrocu, di Fonni, vicini di casa diventati marito e moglie. Insieme ai tre figli, hanno realizzato un’azienda familiare che oggi è rinomata in tutta Europa. Da 8 a 100 ettari, una crescita progressiva negli anni con la Barbagia sempre nel cuore e un grande sogno di libertà. Accanto all’agriturismo sono sorti anche due alberghi rurali – Su Passu e Inghirrios – grazie al restauro di antiche case coloniche della Nurra. E poi dall’amore per i cavalli è nato “Tre stelle Sa Mandra” il moderno centro per l’equiturismo vicino a Porto Ferro. Rita è “l’architetto”, la colonna portante di una famiglia che ha saputo mettere insieme tradizione e innovazione, un percorso segnato da una fede profonda e da un amore viscerale per la terra e la natura.

Nuova vita

Prima di 10 figli, Rita studia a Fonni come il suo compagno, e a vent’anni si sposa. Comincia subito a lavorare, mette su un avviato negozio di giocattoli e abbigliamento per bambini. Mario è un artigiano edile dalle mani d’oro: restauri e muretti a secco, tanto lavoro. «Eravamo e siamo molto orgogliosi – racconta Rita – siamo andati a vivere subito in una casa, piccola e umile. Ma era nostra. Nel 1978 è nata Maria Grazia, nel 1981 Michele e nel 1984 Giuseppe». Nei primi anni Ottanta, l’episodio che cambia la loro vita. «Nel mese di luglio del 1984 siamo arrivati ad Alghero per una breve vacanza – racconta Rita – era la prima volta per noi. Aspettavo il terzo figlio, abbiamo girato un po’, poi il colpo di fulmine: alla vista di quei terreni ci siamo innamorati. Non avevano un soldo, ma la decisione ormai era presa, restammo affascinati da quella città così libera». Rita rivive quei momenti come se fosse oggi. «Ci abitava una coppia di anziani nel rudere, erano assegnatari Ersat. Gente in gamba, molto cordiali. Eravamo così giovani, non avevamo risorse e le banche ci ridevano in faccia, nessuno si fidava di noi. Rientrammo a Fonni, ma l’idea era quella di andare avanti». Succede tutto rapidamente. Rita vende il negozio di giocattoli che pure andava bene, Mario lascia il lavoro di artigiano-muratore, sul mercato anche la casa. «Realizziamo un piccolo gruzzolo e torniamo ad Alghero per dare l’anticipo. Gli assegnatari avevano già una loro casa ad Alghero e si sono trasferiti subito. Noi siamo entrati in quel podere, dove c’era il vecchio rudere. Io, mio marito e tre figli: per noi quella era una reggia, ma non si poteva vedere». La felicità per la scelta e il sogno di libertà si scontrano con i problemi di tutti i giorni, con la realtà che non fa sconti a nessuno. «Mario non aveva mai voluto fare il pastore, primo maschio dopo cinque figlie femmine. Suo padre lo aveva considerato una specie di disonore».

Il velluto nell’armadio

«Anche l’abito di velluto era rimasto nell’armadio. Io venivo dal commercio, non sapevo fare niente per la terra. Ci vennero in soccorso le nostre famiglie, le nostre mamme – vere matriarche –, mio padre e mio suocero che dopo 70 anni di pastore era ormai in pensione». Mario ha imparato «a riconoscere le pecore dal cane», a studiare la luna giusta per la semina, capire come piantare, cosa e quando. Cominciammo a fare formaggio e ricotta. Mario ha imparato a usare il trattore e altri strumenti fondamentali per la gestione del lavoro in campagna». Le 24 ore della giornata sembravano non bastare mai: «Cominciavamo presto, alle 6, poi una lunga e intensa attività, tutta d’un fiato. Quando tramontava il sole e arrivava il buio esclamavo: che corta questa giornata, è già finita. Ma eravamo sfiniti dalla fatica». I ragazzi cominciavano ad andare a scuola ad Alghero, e quell’idea di libertà che Rita e Mario avevano cominciò a vacillare. «Maria Grazia era in seconda elementare, la chiamavano “la pastora”. La bambina ci rimaneva male, tornava a casa e si lamentava con me. Io ero una mamma giovane, non sapevo niente di psicologia, allora le conoscenze erano un po’ così. Però ebbi una intuizione e le dissi: non ti preoccupare, sono invidiosi perché noi produciamo formaggio e ne abbiamo tanto, quanto ne vogliamo. Loro invece lo devono comprare a etti». La forza, il coraggio e l’orgoglio, devozione a San Francesco e alla Madonna di Fonni, una fede incrollabile. Ma anche il rispetto per le persone, anche quando in tanti li guardavano con diffidenza. «Mi nascondevo e piangevo – ricorda Rita – e mi chiedevo: ma chi ce l’ha fatto fare? Abbiamo provato la brutta sensazione di sentirci stranieri nella nostra terra. Sono stati momenti difficili, poi l’apertura grande della città di Alghero ci ha aiutato molto. Onore a questa gente e alla Sardegna, non ci ha mai sfiorato l’idea di andare all’estero».

L’anno della svolta

Il 1989 è l’anno della svolta. Grande siccità, danni e situazione drammatica, non pioveva da quasi un anno tanto che in Regione si parlava per la prima volta dei dissalatori per l’acqua nelle campagne. «Grande crisi, non si poteva stare a guardare e aspettare. Decidemmo di trasformare il progetto: io andavo nei negozi a vendere la ricotta con il miele, era il dessert dei barbaricini. Funzionava, i nostri prodotti piacevano. E a Sa Mandra facevamo lavori in continuazione: Mario costruiva muretti a secco: spietrava la terra e realizzava. Ogni giorno nasceva un nuovo pezzo. La prima sala aveva solo 10 posti a tavola, e la licenza fu un “silenzio assenso” perché dopo 31 giorni non ci avevano risposto. Non si conosceva ancora questo tipo di attività. Ripartimmo con grande entusiasmo». Il supporto delle “matriarche” fu fondamentale. Loro sapevano bene cosa voleva dire sacrificio. I loro mariti-pastori andavano via con il bestiame per la transumanza a novembre e tornavano a maggio. L’assenza era una speranza che aiutava a vivere, dovevano farcela per forza, soprattutto per i figli. «I loro insegnamenti ci hanno indirizzato nella giusta direzione – dice ancora Rita – menù tipico fonnese, ricette autentiche di cui oggi mi sento custode. Storie vere di antichi piatti, il cuore sempre lì a Fonni. Sono venuta a vivere qui per lavoro». A Sa Mandra Rita e Mario, insieme ai figli Maria Grazia, Michele e Giuseppe hanno realizzato negli anni un angolo di Barbagia immerso nel verde. Passi per le pinnette per entrare e dentro girano i filmati sulla produzione del pane e la preparazione dei formaggi e della ricotta. Tradizione e modernità si abbracciano senza stritolarsi, un tocco dolce e rispettoso che ti aiuta ad camminare senza sbandare, con fierezza. «Sa Mandra oggi è anche un luogo di cultura, una terra di incontri, una grande casa multietnica dove la porta è sempre aperta».

Testimoni e custodi

«Io e la mia famiglia – sottolinea Rita – ci sentiamo testimoni di una Sardegna che resiste e sa lottare, custodi di un patrimonio straordinario che è il sale della nostra vita. Aule didattiche e fattoria, formazione continua, oltre 1200 pezzi fra tappeti, quadri, sculture, cassapanche, strumenti e attrezzi legati al lavoro della terra». Una esposizione che non ha eguali, ogni angolo è parte di un museo che non è un ambiente statico ma una sorta di piazza, un luogo di accoglienza sempre in movimento. Il motore che muove tutto è l’orgoglio di Rita e Mario e dei figli, ma anche dei nipoti – c’è Fabrizio che ha 20 anni e rappresenta la terza generazione – per l’identità sarda così ricca di saperi e sapori, di valori che vengono tramandati senza contaminazioni. «Il segreto sta nell’umiltà di quello che fai ogni giorno – afferma Rita – raccontare agli altri senza fare il professore e avendo sempre davanti agli occhi da dove sei partito. Ricordo che abbiamo restituito prestiti con tassi al 27 e 30%. Non si finiva mai, ti mancava il respiro. Eravamo giovani ma tanto orgogliosi. In banca, quando facevamo presente delle difficoltà per pagare qualche rata, ci dicevano: “Non vi preoccupate, al limite ce lo prendiamo noi”. Ma era la nostra casa, il nostro lavoro, il futuro dei nostri figli che hanno scelto di stare qui. E non abbiamo mai mollato. Maria Grazia è laureata in Giurisprudenza, ha fatto il praticantato da avvocato, ha conseguito master all’estero, in California. Ma è tornata qui, lavora con noi. Anche Michele, che trascorre sei mesi in Norvegia dove allena cavalli da corsa, torna per il resto dell’anno e gestisce il centro di equiturismo. Giuseppe è un altro pilastro dell’azienda, non si perde un corso di formazione. Non si finisce mai di imparare. Attorno a loro abbiamo costruito un progetto di vita».



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