L’ago dietro il sipario: Carla Galleri sarta all’Arena di Verona
E per il cinema ha lavorato con Olmi e Ben Stiller
Nozioni di anatomia, elementi di storia, tecniche di disegno, teoria del colore e ampie dosi di creatività, manualità e fantasia. Chi voglia dedicarsi alla professione di costumista deve mettere in gioco queste ed altre competenze per poter disegnare e cucire l’abito perfetto per ogni artista. Negli ultimi ventisette anni Carla Galleri, sassarese, classe 1968, si è cimentata in questa raffinata arte realizzando costumi per le opere più note: “Tosca”, “Rigoletto”, “Nabucco”, “Turandot”, “Boheme” sono solo alcuni titoli del suo portfolio realizzato nei più importanti teatri del mondo, in collaborazione con registi come Hugo De Ana, Franco Zeffirelli, Arnaud Bernard e con costumisti del calibro di Vera Marzot.
L’Accademia a Venezia. Ma ora Galleri, proveniente da una nota famiglia di artisti, ha deciso di tornare in Sardegna e far nascere qui i suoi nuovi progetti professionali. «Sono sempre rimasta molto legata alla mia città – dice – e alla mia famiglia e anche se ho vissuto per quasi trent’anni lontano dalla Sardegna la mia “casa” è stata sempre qui». Carla lascia Sassari a 18 anni per frequentare l’Accademia d’arte di Venezia dove si specializza in costume teatrale, ma ancor prima di terminare gli studi arriva il colpo di fortuna: una collaborazione con la Fondazione Arena di Verona dove poi grazie al suo talento lavorerà per circa quindici anni come costumista e responsabile di sartoria. Una nuova occasione professionale arriva per Galleri nel 1997 quando vince un concorso alla Scala di Milano dove completa la sua specializzazione. «La mia passione per i costumi teatrali è nata da ragazzina leggendo romanzi storici – ricorda Carla – mi piaceva visualizzare le ambientazioni e immaginare l’abito adatto ad ogni personaggio. A cucire invece ho iniziato ancora prima, è stata mia madre ad insegnarmi, amava realizzare vestiti per tutta la famiglia e aveva una grande passione per il teatro musicale. Stavo accanto a lei e osservavo, pasticciavo, tagliuzzavo, realizzavo piccoli pupazzetti di stoffa e poi imparai a fare vestitini per le mie bambole. Finché un giorno disegnai il mio primo paio di pantaloni, erano a quadri, larghi, dalla foggia insolita, lo ricordo come fosse oggi: pensati cuciti e indossati, un’emozione unica!». Un’emozione ancora viva, visto il sorriso con cui la racconta. «In ogni cosa che faccio, in ogni produzione, ad animare questa emozione credo sia la magia del fare, del creare. Mi piace materializzare le mie idee, dar vita concreta a qualcosa che altrimenti rimarrebbe nella mia testa: un colore, un tessuto, un taglio diventano abito. Mi piace cucire costumi per il teatro perché è un ambiente unico dove si ha l’opportunità di veder nascere dal niente spettacoli maestosi. Ogni produzione è diversa dall’altra ma si respira sempre la stessa energia adrenalinica, prova dopo prova. Mi piace veder montare le scene, assaporare la nascita delle idee di regia che si delineano sul palco e il fermento dietro le quinte, in sartoria, le prove costumi. Mi iscrissi in scenografia già con l’idea di specializzarmi in costume teatrale e poi ebbi la fortuna di incontrare grandi artisti. Tutto quello che so e che cerco di metter in pratica è frutto dei loro insegnamenti».
Imparare l’arte. Tanto lavoro sul campo ma anche grandi maestri nel percorso artistico di Carla. «Fondamentale l’incontro con Maria Letizia Amadei, la mia insegnante all’accademia: mi ha fatto capire quanto sia importante sperimentare e documentarsi prima di realizzare un abito, fare ricerca storica, iconografica, mi ha insegnato ad essere scrupolosa, a fare attenzione ai dettagli, ai colori, ad avere fantasia. Grazie a lei ho fatto la mia prima esperienza all’Arena di Verona. Un altro grande maestro è il regista Hugo De Ana. Il nostro rapporto è nato con un litigio durante un allestimento di “Tosca” poi però mi ha chiesto di collaborare con lui in altre produzioni, ed io ovviamente ho accettato, è stato illuminante, formativo, De Ana ha un modo di lavorare che fagocita, assorbe completamente». Lavorare in Arena mette in contatto Carla con i più grandi artisti internazionali, collabora così alla realizzazione di costumi per produzioni storiche per i colossal della lirica come il recente “Nabucco” di Bernard ambientato durante le cinque giornate di Milano. «Abbiamo preparato in due mesi più di 800 costumi – dice mentre sul computer scorrono le foto dello spettacolo – lavorando otto ore al giorno, siamo partiti da un’attenta indagine iconografica distinguendo tra i costumi dei soldati italiani e degli austriaci, quelli dei borghesi e dei carbonari». Ma oltre l'Arena Carla è incuriosita anche da altre realtà artistiche, collabora così con numerosi teatri italiani tra questi il Sociale di Como e il Regio di Parma.
Calzare a pennello. «Mi sono spostata spesso anche all’estero, tra le ultime esperienze un progetto al Teatro Opera House di Muscat nel Sultanato dell’Oman per la ripresa della “Turandot” di Franco Zeffirelli». Sin dagli esordi Carla ama lavorare anche per il grande schermo. «Il mio primo film è stato “Il mestiere delle armi” di Ermanno Olmi su costumi di Francesca Sartori, l’ultimo Zoolander” di Ben Stiller”». Ogni artista deve avere un costume che calzi a pennello. «Mi accorgo di aver fatto un buon lavoro solo quando sento il costume cantare, sì cantare – dice sorridendo – perché un costume fatto su misura deve avere una sua voce, non saprei spiegarlo in altro modo, deve avere un suo timbro, un carattere. Tessuto, colore, taglio diventano la nuova pelle dell’interprete che deve sentirsi una cosa sola con l’abito che indossa. La fase delle prove è fondamentale, il costume perfetto nasce dal dialogo tra costumista artista e regista» Nella carriera di Galleri tanti viaggi, molto lavoro e tante soddisfazioni poi recentemente sempre più forte la voglia di tornare in Sardegna.
«Vivere in giro per il mondo è affascinante ma ti immerge in una dimensione piuttosto nomade e solitaria. Sono tornata perché volevo stare vicino a mia madre e assisterla, ma dopo che lei mi ha lasciato ho deciso di non fare le valigie, di fermarmi e realizzare qui diversi progetti che coltivavo da tempo. Desidero portare nella mia terra le competenze maturate in questi anni e trasmettere ad altri ciò che ho imparato. A dar sostegno a questa mia decisione due incontri importanti: quello con l’uomo che amo e sposerò in ottobre e con una collega con cui abbiamo fondato a Sassari “Estire”, una scuola di moda e design».
Anima sarda. «Parallelamente ho cominciato a lavorare per l’Ipia la scuola statale per la moda e l’artigianato. Questa mia nuova attività non mi impedisce di continuare a lavorare in teatro qualche mese fa ho realizzato i costumi per “Turandot” al National Grand Theatre di Pechino per la regia di Hugo De Ana con Placido Domingo e in settembre sarò in Slovenia con “Nabucco”. Noi sardi abbiano un’anima artistica e una tradizione millenaria a cui attingere bisogna stimolare le menti dei nostri ragazzi perché ritrovino nelle loro radici nuove prospettive di vita e di lavoro».