La Nuova Sardegna

Simona Atzori: «L’arte di riprendermi la vita»

di Giovanni Dessole
Simona Atzori: «L’arte di riprendermi la vita»

Venerdì a Ghilarza al festival “La settimana classica” la ballerina e pittrice senza braccia presenta il suo libro “La strada nuova”

19 settembre 2018
4 MINUTI DI LETTURA





GHILARZA. «I miei genitori sono entrambi sardi, mio padre di Serramanna e mia madre di Suelli. Il mio sangue è tutto sardo, anche se l’accento dice altro – sorride –. Sono nata a Milano ma le mie vacanze sono sempre state in Sardegna, terra che amo molto. Sento molto le mie radici». E Simona Atzori tornerà in Sardegna già venerdì prossimo in occasione del festival “La settimana classica” per presentare il suo ultimo libro “La strada nuova: diventare protagonisti della propria vita” (Giunti).

«Pensate che i miei genitori e i miei nonni mi hanno insegnato il sardo, ne vado fiera: e siccome considero il sardo una lingua, posso dire di conoscere una lingua in più dalle sfumature particolarissime». Non è una donna come tutte le altre Simona Atzori, e non certo perché nata senza entrambe le braccia. È una donna speciale perché speciale è il suo essere ballerina, pittrice, scrittrice, positiva, protagonista di esperienze straordinarie che condivide, con enfatica e delicata gioia. I suoi arti inferiori sono le sue mani, ma è il sorriso perennemente stampato sul volto ad attrarre lo sguardo: «Il mio sorriso è di default, lo dico sempre: parte in automatico. È una grande fortuna, fa parte del mio carattere anche se in parte è una ricerca. Tutti noi abbiamo dei momenti di difficoltà nostri, intimi, derivanti dallo scorrere della vita e dall'incontro con il mondo. Momenti che porterebbero a far sì che il sorriso si spenga. Io però sorrido sin da quando sono bambina. Il mio nascere, il mio crescere, sono stati per me una enorme opportunità. E mentre le persone notavano ciò che mi mancava, il mio sorriso diceva altro e guardava lontano. È il mio modo di comunicare, dice: vai oltre quel che vedi».

Il talento ribolle come lava di vulcano nelle vene di Simona, che a 4 anni già dipinge, a 6 danza e a 9 entra a fare parte dell'Associazione mondiale di artisti che dipingono con bocca o piedi. Le sue opere conquistano i musei del mondo, nel 2001 in Canada arriva la laurea in Arti visuali. Il suo danzare illumina la cerimonia d'apertura delle Paralimpiadi invernali 2006 di Torino, ha dipinto e poi donato un ritratto a Giovanni Paolo II, è attiva nel sociale, ha piglio e spirito da coach e le sue parole pesano, piacevolmente, sull'animo di chi le ascolta.

Una vita per l'arte, l'arte di vivere al meglio la vita.

«Una bellissima combinazione di entrambe le cose. Il mio vivere è frutto di ciò che mi caratterizza, che mi permette di esprimermi, che fa parte di me e mi racconta. L’arte ad esempio, penso di averla avuta dentro sin da quando ero piccola. Non ho scelto io danza e pittura, sono loro ad avermi scelto. Loro mi hanno dato gli strumenti per dire: mostra alle persone, a me stessa in primis, ciò che sai fare. Poi servono lavoro, una buona dose di sana testardaggine sarda e tanta costanza».

La sua famiglia?

«L’inizio della mia vita sono stati mamma e papà. Persone semplici ma piene di grande amore. La loro semplicità stava nel guardarsi negli occhi e dirsi: è nostra figlia, la amiamo cosi come è. Perché nelle cose piccole e semplici c'è la forza più grande. La loro voglia di amarmi indipendentemente da tutto ha permesso alla mia vita di prendere questa forma. Non penso che troverò mai un modo per dirgli grazie, ne cerco tanti in realtà attraverso ciò che faccio, ma mi sembra non sia mai abbastanza». Il suo nuovo libro incarna in sé l'ennesimo messaggio di positività: «È l'opportunità che ho voluto dare a me stessa e che vorrei dare a chi lo leggerà di fare un viaggio, non verso una meta ma verso la porta più profonda di noi, interna, segreta, inesplorata, difficile da guardare ma con cui entrare in relazione. Un viaggio in cui chiedo alle persone di mettersi in gioco in tutti i sensi, nel silenzio della loro camera, dove non c’è né giusto né sbagliato».

Bentornata in Sardegna allora.

«Sono sempre molto felice di venire qui. Per tanti anni è stata una delle regioni in cui mi invitavano meno, mi dispiaceva molto, e dispiaceva soprattutto alla mia mamma quando ancora era in vita. Ora vengo spesso, la gente è speciale, ha un forte senso della cultura e sarebbe giusto che i sardi lo sottolineassero e ribadissero in maniera forte, e convinta. La Sardegna è terra di grande cultura: deve semplicemente metterla a disposizione, condividerla».

In Primo Piano
L’incidente

Siena, il fantino sardo Andrea Chessa cade durante una corsa: è grave

Sardegna

La giunta regionale blocca i nuovi impianti di energie rinnovabili, Alessandra Todde: «Stop al far west e alle speculazioni»

Le nostre iniziative