La Nuova Sardegna

Paolo Rossi: «La mia satira, libera come il jazz»

di Roberta Sanna
Paolo Rossi: «La mia satira, libera come il jazz»

L’attore porta in Sardegna il suo nuovo spettacolo “Il re anarchico e i fuorilegge di Versailles”

30 novembre 2018
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CAGLIARI. «Una compagnia sta viaggiando verso Versailles, in un’epoca non ben definita, con una sorta di varietà onirico che nasce da una leggenda che circola fra i teatranti. Si dice che i teatri, quando sono chiusi, vengono popolati dai fantasmi degli attori che ci hanno recitato e dallo spirito dei personaggi che sono stati interpretati, dando vita a spettacoli memorabili. Quindi vado a dormire in teatro per sognare e avere dal passato ciò che serve nel futuro. A me arriva una compagnia di giovani, abbastanza scalcagnata, che, me ne sono accorto dopo un po’ di repliche, sono le tante parti di me stesso». Paolo Rossi racconta alcuni elementi del suo ultimo spettacolo ispirato a Molière e basato sull’improvvisazione, pieno di riferimenti alla cultura popolare. Titolo: “Il re anarchico e i fuorilegge di Versailles. Quinta Stagione”, in anteprima domani al Centrale di Carbonia (e nei giorni successivi con il Cedac a San Gavino Monreale, Macomer e Tempio Pausania).

«Il percorso su e con Molière – prosegue l’attore e regista - nasce dalle similitudini che, con le dovute differenze, ci sono tra il suo metodo di lavoro e quello della mia compagnia. Da un po’ di anni pratico il teatro all’improvviso, che nasce dalla commedia dell’arte, di cui lo stesso Molière è debitore alle nostre compagnie erranti. Per esempio, Fiorilli gli passò una cassa di repertorio infinita, con la quale iniziò con i suoi atti unici e le sue farse e la sua compagnia che era quasi una comunità». In questo tipo di teatro – spiega Rossi – sulla scena salgono non solo l’attore con il suo mestiere e il personaggio interpretato, ma anche un terzo, cioè la persona/attore con la sua vita. Questo Molière lo praticava per due motivi, prima perché pur avendo il grande privilegio di lavorare a Versailles doveva anche recitare per il pubblico che era il suo bersaglio, e poi per la sua vita piena di drammi e conflitti. Quindi al di là del piacere drammaturgico sono anche la figura e la leggenda sulla sua persona che mi attraggono. E poi in questo tipo di lavoro c’è una serialità che vale come processo creativo e non come risultato artistico, e che ha bisogno di prolungarsi nel tempo diversificandosi».

Perché l’improvvisazione sembrerebbe un dono estemporaneo ma in realtà richiede una disciplina quasi militare, un allenamento che avvicina alle discipline sportive. Spiega Rossi: «Il metodo, se posso trovare un paragone musicale, è quello del jazz, in cui c’è una partitura ben scritta e definita, e delle possibilità di romperla, interpretarla e aprirsi dei varchi secondo regole ben precise, che sono tante. A partire dall’ascolto del compagno, del pubblico, del momento in cui si fa lo spettacolo e dove lo si fa. E poi improvvisare non significa inventare delle battute ogni sera diverse, o saper scavalcare e mettere qualsiasi incidente, che a volte capita, all’interno della performance. Ma vuol dire magari recitare in maniera differente, nelle intenzioni, nelle tensioni ed energie, e quindi rendere ogni volta una cosa viva».

Anche nei conflitti che ha vissuto Molière con la satira ci sono similitudini, osserva Rossi: «Il mio spettacolo parla anche di questo. È una via di fuga dal tipo di satira che funzionava negli anni ’90 e nei primi anni di questo secolo, ma che poi ha perso di significato. Un esempio. Personalmente mi sono accorto che i politici bersaglio all’inizio si offendevano e arrabbiavano. Poi hanno cominciato a capire che più li nominavo più li rendevo visibili, e infine a farmi dei complimenti. Mancava solo che cominciassero a chiedermi consigli. Ormai se un politico non ha un imitatore quasi non esiste. Quindi adesso la mia è una satira che perlustra meandri oscuri, prima di tutto di chi sta sul palco. E questo, anche attraverso la risata, arriva per contagio, come mi sembra stia succedendo, al pubblico. C’è una frase dello spettacolo da ripetere tutte le sere: “Ognuno ha il governo che si merita”. Perché è un lavoro molto più serio che non seguire i sondaggi o quant’altro».

Quelle di certa satira politica sono insomma stagioni chiuse, anche in tv. Ora si parte da chi sta sul palco, non per fustigare («Non sono Savonarola, mi metto in gioco io per primo» come il re anarchico del titolo) ma per mostrare caratteristiche tutte umane che arrivano agli spettatori. Quindi nessun riferimento diretto ai politici? «Ogni tanto qualche battuta scappa, è inevitabile – confessa Rossi – però sono gag d’appoggio, e sono le più facili, per darci respiro in un gioco teatrale molto impegnativo».



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