La Nuova Sardegna

L’antico menu del pane A Ortacesus si fa lezione con le ricette contadine

di MICHELA CUCCU
L’antico menu del pane A Ortacesus si fa lezione con le ricette contadine

È a Ortacesus l’unico museo della Sardegna dove, oltre a conoscerne il gusto, si può scoprire il suono del pane. Il Museo che si può mangiare. È qui, nel cuore della Trexenta, granaio di Roma per...

27 ottobre 2019
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È a Ortacesus l’unico museo della Sardegna dove, oltre a conoscerne il gusto, si può scoprire il suono del pane. Il Museo che si può mangiare. È qui, nel cuore della Trexenta, granaio di Roma per antonomasia, dove in tempi lontani si rischiava la crocifissione se si veniva sorpresi a piantare un solo albero nella terra destinata ai cereali, dove da quasi 15 anni la visita al museo risveglia i palati e diventa piacevole occasione per un viaggio indietro nel tempo.

Le guide della cooperativa Su Corongiu che gestiscono la struttura nata da un progetto del grande antropologo Giulio Angioni, non si limitano a far ammirare la grandiosa collezione di macine di pietra e attrezzature antiche per coltivare la terra e utensili indispensabili per trasformare il grano. I cereali qui si impara a lavorarli ed anche a mangiarli, attraverso una serie di laboratori che si avvalgono di volta in volta, della collaborazione di donne anziane del paese che insegnano agli ospiti come da un anonimo mucchietto di semola fina si possano ottenere coccois pintaus, i pani cerimoniali, forgiati come gioielli, che a differenza dei metalli e delle pietre preziose, si possono anche mangiare. È un pane antico, fatto con il lievito madre, quello che un tempo, veniva donato alla madre alla giovane sposa e che a sua volta, lo donava alle figlie così che nel loro corredo di mogli, non mancasse mai il fermento vitale. Le anziane di Ortacesus insegnano anche i segreti per la preparazione delle paste tradizionali: i malloreddus ma soprattutto, sa fregula, che qui, viene anche leggermente tostata nel forno a legna dove, ogni visitatore cuocerà il proprio pane da portare via come ricordo di una giornata diversa. «Qui i visitatori scoprono che il pane è fatto di fatica – dice Daniela Mascia, guida del museo e responsabile dei percorsi didattici – anche nel lavorare la semola di grano duro, che non è malleabile come la farina di grano tenero». Daniele spiega che in Sardegna l’unico grano per l’alimentazione umana è sempre stato quello duro, il grano tenero è arrivato solo nel dopoguerra e la sua coltivazione è ancora piuttosto rara. È proprio la semola di grano duro la protagonista del menù che il museo, in collaborazione con locande e ristoranti della zona, offre ai suoi ospiti. Un menu tutto di piatti dell’antica tradizione dei contadini poveri e con un nome accattivante: la via del pane, che prevede la degustazione di piatti dimenticati. Si inizia con due proposte di semola, cucinata come la polenta e condita in due modi: al sugo di pomodoro con una spruzzata di pecorino grattugiato (simbua incasada) oppure cucinata su una base di soffritto di cipolla e lardo (simbua fritta). Il pane nel menù è un ingrediente di riuso: pane raffermo che, tagliato a fette, ammorbidito nell’acqua (solo i ricchi potevano permettersi il brodo (n.d.c.) e poi condito con sugo e formaggio. Infine il dessert, anche questo di pane raffermo, ma ammorbidito nel latte e poi, ripassato nell’uovo e quindi fritto, servito caldissimo con una spolverata di zucchero. Appunto, la versione sarda dei più internazionali french toast, ma più preziosi.

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