La Nuova Sardegna

Uva, pietra e vino I palmenti dai nuraghi a oggi

di CINZIA LOI*
Uva, pietra e vino I palmenti dai nuraghi a oggi

In molti si sono chiesti a cosa servissero le vasche  scavate nella roccia molto diffuse nell’area centro orientale  dell’isola: sono una testimonianza della vinificazione antica  

27 ottobre 2019
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In sardo si chiamano “Lacos de catzigare” sono i palmenti rupestri. Vasche scavate direttamente nella roccia che servivano per pigiare l’uva. Un sistema antichissimo che, come molte cose della Sardegna, è arrivato sulle soglie della modernità. Le più antiche strutture connesse con questa attività sono state individuate sia in alcuni insediamenti nuragici (Genna Maria-Villanovaforru, Monte Zara-Monastir) sia in contesti relativi alle successive età punica (Truncu ’e Molas-Terralba) e romana (Arrubiu-Orroli); (S’Imbalconadu-Olbia); altri impianti riferibili a quest’epoca sono segnalati nella Sardegna nord-occidentale.

Nuove indagini evidenziano una notevole quantità proprio di palmenti rupestri nelle aree interne della parte centrale dell’isola, tra le regioni storiche del Guilcer e del Barigadu. In questo territorio, accanto al grandioso fenomeno delle tombe ipogee a domus de janas di età prenuragica e delle successive maestose costruzioni nuragiche, si sono rilevate finora oltre duecento vasche intagliate nella roccia, riunite in gruppi di due o tre a formare veri e propri impianti produttivi. Dalla ricerca etnografica si evince che la funzione primaria di questo sistema di vasche era connessa alla spremitura dell’uva e alla raccolta del mosto. Le uve, riposte in cesti durante la vendemmia, venivano sistemate man mano all’interno di sacchi di lino tessuti a maglie larghe e poi schiacciate con i piedi all’interno della vasca di pigiatura. Terminata questa operazione i sacchi subivano un’ulteriore pressione mediante la cosiddetta perda ’e irbinare (pietra per svinare), un masso di pietra di forma grossomodo circolare dalla base appiattita. Alcune vasche per la pigiatura mostrano una fossetta in cui, durante la vendemmia, veniva posto un acino per ogni cesto d’uva tagliata. In questo modo il proprietario della vigna riusciva a prevedere il quantitativo di mosto che ne sarebbe derivato, così da predisporre per tempo il numero di otri utili per il trasporto a dorso d’asino e quello delle botti necessarie alla fermentazione. Il mosto estratto convogliava, tramite fori-versatoio e canalizzazioni, nella vasca di raccolta che – per ottimizzare l’efficacia del deflusso – era realizzata sempre a una quota inferiore rispetto a quella di pigiatura. Sul pavimento di questi palmenti è costante la presenza di una coppella utile alla raccolta del mosto e per la decantazione dei residui solidi. In nessuna delle vasche di raccolta censite sono state riscontrate tracce di malta, funzionale all’impermeabilizzazione delle pareti; ciò conferma che la fermentazione del mosto avveniva altrove. Dalle vinacce poste a macerare con l’acqua si otteneva su piritzolu (vinello), una bevanda identica a quella che gli antichi romani chiamavano “lora”.

Le canalizzazioni e le tracce d’incasso per palificazioni individuate intorno ad alcuni di questi impianti rupestri con ogni probabilità servivano, rispettivamente, per raccogliere le acque piovane e per sostenere le strutture di riparo in materiale deperibile (legno e frasche). Talvolta, vicino a queste strutture si trovano dei massi rocciosi con delle coppelle di varie dimensioni, la cui funzione rimane molto incerta. Un altro importante aspetto che accomuna i lacos de catzigare riguarda la posizione: molte vasche si aprono sul ciglio dei dirupi che fiancheggiano le profonde gole tipiche dei paesaggi del Guilcer e del Barigadu. È la ragione per cui questi impianti sardi per la vinificazione sono stati spesso interpretati, almeno a livello popolare, come “aree sacre” o “rituali”. Appare oggi complesso fornire una datazione certa riguardo all’utilizzo dei palmenti identificati, i quali hanno subito diverse fasi di sfruttamento, forse già a partire dal tardo Bronzo Medio (XV-XIV sec. a.C.), al più tardi dal II sec. a.C., e proseguite poi attraverso il Medioevo fino a tempi recenti.

*archeologa

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