La Nuova Sardegna

Storia di un impiegato: uno spettacolo totale per rileggere Faber

di Roberta Sanna
Storia di un impiegato: uno spettacolo totale per rileggere Faber

Il concerto di Cristiano De André all’European Jazz Expo Nello storico concept album le ragioni della rivolta giovanile

05 novembre 2019
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CAGLIARI. Grande successo, partecipazione e affetto sono esplosi al Teatro Massimo al completo per il concerto di Cristiano De Andrè in chiusura, ieri e domenica, dell’edizione 2019 del Festival Jazz in Sardegna in cui “Storia di un impiegato”, uno dei più significativi album di Fabrizio De André, diventa un’opera rock dal sound elettronico e progressive nella visione e negli arrangiamenti di Cristiano De André e di Stefano Melone alla produzione artistica. Una scelta che funziona come macchina del tempo e musicale, immergendo il pubblico nel clima del ’68 e degli anni di piombo non solo attraverso il “romanzo musicale” – raccontato nel concept album riflettendo coraggiosamente già nel 1973 e forse per questo fu capito più tardi – ma anche con il sapiente amalgama di immagini storiche e simboliche che lo schermo frammentato, formato da una serie di stendardi appesi alle piantane luci, rimanda in un flusso ipnotico e onirico.

“Lottavano così come si gioca i cuccioli del maggio”. Ecco che fin dalle prime parole della celebre “Introduzione” e nella successiva bellissima “Canzone del Maggio”, voci e immagini di cortei in bianco e nero, proteste e scontri, e poi, in stacchi velocissimi altri cento fotogrammi tanto da riconoscerli tutti, arrivano in modo quasi subliminale e trasportano in quegli anni come in un vortice temporale. Non sono necessarie altre introduzioni o interventi esplicativi per seguire la storia dell’impiegato ribelle, ispirato dal maggio francese in una prima fase attraverso un percorso onirico. Seguono così “La bomba in testa” e “Al ballo mascherato”, che gli arrangiamenti sontuosi e i video esaltano con grande efficacia. Scorrono come in un’allegoria immagini di topi e di ingranaggi contrapposte ai nudi del parco Lambro, al sorriso di Jimmy Hendrix, agli slogan di studenti e femministe – musica e politica andavano insieme – fino ai saloni gattopardeschi del “ballo della celebrità”, che l’impiegato immagina di dissolvere con una grande esplosione qui rappresentata con quella cinematografica di “Zabriskie Point”. Cristiano De André si dimostra grande musicista ed interprete, alternando splendidamente chitarra classica e acustica, violino e pianoforte, ottimamente affiancato da Osvaldo Di Dio, Davide Pezzin, Davide Devito e Riccardo Di Paola.

“Sogno numero due”, con la voce recitante di Fabrizio de Andrè, è il momento in cui l’impiegato incontra il suo giudice, che gli rivela il suo essere passato dalla parte del potere attraverso la violenza, mentre le immagini citano anche in modo non cronologico stragi e depistaggi, da Piazza Fontana a Ustica, dall’Italicus alla Stazione di Bologna. La “Canzone del padre” è segnata iconicamente da due mani che si stringono, con una melodia dolce e un testo complesso con riferimenti autobiografici al rapporto padre-figlio. “Così son diventato mio padre/ucciso in un sogno precedente/ il tribunale mi ha dato fiducia /assoluzione e delitto lo stesso movente”, sogno da cui l’impiegato si sveglierà Bombarolo, con l’omonima canzone dal ritmo accattivante e ironico, mentre le immagini martellano una parodia del “I want you” dello statunitense Zio Sam, sostituito da Trump, Berlusconi, Putin, eccetera.

L’attentatore solitario fallisce, farà solo saltare un’edicola. Dal carcere scrive una lettera alla moglie, l’indimenticabile “Verranno a chiederti del nostro amore”, una delle più belle riflessioni sui rapporti sentimentali. Infine dopo il celebre epilogo “Nella mia ora di libertà”, che parte con la rinuncia all’ora d’aria e la maturazione che porta a "capire che non ci sono poteri buoni", riprendendo il celebre inciso della Canzone del Maggio, e gli intensi applausi, Cristiano De André richiama ad un nuovo ’68 caratterizzato da sincerità e apertura verso gli altri contro l’attuale aridità, ricordando che l’idea anarchica del padre era soprattutto uno stato d’animo. “Mi sento un sacerdote atipico” dice De André, concludendo questa “messa laica” costruita “con le parole di un grande poeta e una grande persona”, con l’invito al pubblico di darsi “un grande Cinque di pace”. Non è concluso però il concerto, che prosegue a lungo con una splendida carrellata di “De André canta De André”: da “La domenica delle salme” alla galoppante versione di “ Fiume Sand Creek”, con ovazione finale sul bis de “Il pescatore”.



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