La Nuova Sardegna

«Serve un progetto comune per governare le migrazioni»

di Michela Calledda
«Serve un progetto comune per governare le migrazioni»

Il saggio di Valerio Calzolaio sul patto mondiale siglato dalle Nazioni Unite: è nato per incoraggiare gli Stati ad adottare politiche efficaci e sostenibili

11 novembre 2019
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A maggio del 2019 è uscito, per le edizioni Doppiavoce, “Migrazioni. La rivoluzione del Global compact”, ultimo libro di Valerio Calzolaio, scrittore e giornalista che da molti anni si occupa di studiare il fenomeno delle migrazioni. Si tratta di un volume, piccolo ma importante, in cui si spiega la portata rivoluzionaria del Global compact for migration. Valerio Calzolaio è stato a Cagliari nei giorni scorsi per presentare questo suo ultimo lavoro per la rassegna di letteratura sociale “Storie in trasformazione” in collaborazione con Sardegna Teatro e Nois, TG dei migranti. Gli abbiamo fatto alcune domande:

Cosa è il Global compact for migration?

«È un accordo intergovernativo entrato in vigore il 19 dicembre 2018. Si tratta di un patto pacifico e libero fra gli umani, non giuridicamente vincolante per i singoli Stati. Chi non lo rispetta favorisce flussi disordinati, irregolari, pericolosi proprio perché non tiene conto del punto di vista degli individui, delle comunità, dei popoli e degli Stati che gli stanno intorno. Si tratta del primo atto diplomatico in questo senso della storia dell’umanità e del primo atto che da qualche principio su un fenomeno asimmetrico come le migrazioni perché possano essere gestite in modo ordinato, responsabile, sicuro, senza prevaricazioni».

Esistono due Global compact: quello on refugees e quello for migration. Che differenza c’è tra il primo e il secondo? Su quale terreno si gioca la battaglia per il “diritto di restare” e quella per la “libertà di migrare”?

«Il 17 dicembre 2018 l’assemblea generale Onu aveva già approvato il Global compact on refugees con 181 voti di Stati favorevoli (compresa l’Italia). Il Global compact on refugees serve a garantire il diritto di restare a ogni umano del pianeta riducendo e azzerando le migrazioni forzate – la pace fra gli Stati è una precondizione indispensabile ma non sufficiente – comunque gestendole nel rispetto prezioso di una vita dignitosa per ogni individuo. Quei rifugiati e profughi vogliono riconquistare la libertà di tornare, nulla più. Il secondo, diversamente, serve a regolare la libertà di migrare affinché non urti nessuna identità nazionale nel rispetto delle norme che ogni paese si dà per le proprie emigrazioni e immigrazioni».

Il Global compact for migration ha visto l’Italia astenersi: perché è grave che ciò sia avvenuto?

«Come ho più volte sottolineato il global compact non è vincolante, non comporta alcun obbligo di accoglienza e/o di integrazione: non impone di fare atti che facilitino le immigrazioni ma casomai suggerisce atti che consentano a un eventuale immigrato di essere ben informato e, paradossalmente, perfino di abbandonare in sicurezza il Paese che lo ospiti nel caso non vi si trovasse a suo agio.Il global compact ha valore universale, riguarda tutti gli Stati, ed è paradossale l’astensione dell’Italia perché gli italiani sono un popolo di migranti. Gli emigrati italiani che ogni anno vanno all’estero sono più degli immigrati che arrivano in Italia, il numero di cittadini italiani residenti all’estero è superiore al numero di cittadini stranieri residenti in Italia. Perciò sostenere il global compact è un modo per sostenere gli italiani che migrano».

A metà novembre uscirà per People il tuo nuovo libro “La specie meticcia”. Cosa intendi per “specie meticcia”?

«Sono stato a Barumini, nel polo museale di casa Zapata. Casa Zapata, l’antica villa spagnola sulle colline di Barumini è stata costruita utilizzando come fondamenta un nuraghe. Questo è significativo perché dimostra che in ogni luogo ci sono stratificazioni di presenze umane precedenti e dimostra anche che viviamo in ecosistemi meticci e che quasi ogni ecosistema umano sulla terra è frutto di incontri e mescolanze. Gli stessi sardi autoctoni sono una mescolanza non delle stesse popolazioni che abitavano la penisola e questo dipende dall’insularità. Sicuramente la Sardegna è l’isola italiana più insulare, con il maggiore grado di insularità, e una specificità della quale si trova traccia anche nel retroterra linguistico e nel vostro genoma»

In che senso?

«Nel senso che la vostra lingua è la più vicina al latino, più di quella delle altre popolazioni italiche, con influenze provenienti da altri dialetti italiani – mi viene in mente il ligure, in particolare – ma anche di popolazioni catalane: cioè anche sul piano linguistico è un impasto. Allora bisogna tutelare gli impasti senza pensarli come puri: bisogna essere consapevoli che si tratta pur sempre di impasti e mescolanze. Proprio perché è giusto tutelare le tradizioni e la specificità delle proprie culture, delle proprie cucine, dei propri cibi, delle proprie musiche sia per riconoscere dove si portano cose interessanti, sia per capire dove in ognuna di queste tradizioni e di queste culture c’è traccia di qualcun altro venuto da lontano. Perciò ogni cultura, ogni tradizione – che pure dobbiamo valorizzare e tutelare – è un intreccio, una mescolanza, non è un elemento puro e inattaccabile da difendere nella sua purezza è, bensì, da difendere proprio nel suo meticciato, nella sua mescolanza e anche, quindi, sforzandoci di capire che gli altri ci donano sempre qualcosa e che sempre, anche noi, possiamo donare qualcosa e farla arrivare molto lontano».



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