La Nuova Sardegna

Carey e l’incredibile vita di Madame Tussaud

di Angiola Bellu
Carey e l’incredibile vita di Madame Tussaud

Lo scrittore e illustratore inglese parla del suo nuovo romanzo, “Little” Protagonista del racconto la fondatrice del famoso Museo delle cere di Londra 

16 novembre 2019
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In libreria “Little” (La Nave di Teseo, 582 pagine, 20 euro) del romanziere e illustratore inglese Edward Carey. “Little” (“Piccola”: la versione italiana conserva il titolo originale) è la storia – romanzata e raccontata in prima persona – di Madame Tussaud, la fondatrice dell’omonimo museo delle cere di Londra che negli ultimi due secoli ha aperto filiali in tutto il mondo. Una gestazione di 15 anni ha permesso a Carey di scrivere un romanzo avvincente dallo stile non convenzionale, che unisce macabro e sublime, ordinario e fantastico.

Lo scrittore ripercorre la vita penosa di una povera bambina svizzera, Marie Grosholtz, che sarebbe diventata famosa per le sue riproduzioni di cera di personaggi infimi e immensi: le sue cere sono senza dubbio la prima narrazione in 3D della Storia e della cronaca. Carey restituisce magistralmente il contrasto abissale tra questa piccola narratrice senza pretese e l’enorme, violenta trasformazione che il Pianeta si trova a vivere. “Little” è intriso di dolore e di amore. Sola e isolata, Marie riesce ad essere nel mondo: nessun prigioniero è più prigioniero di lei e nessun essere umano riesce ad avere le sue ali di libertà. Storia, femminismo, liberazione: “Little” è un precorso di crescita interiore, svela come l’arte possa essere compulsiva e salvifica. Racconta un’autoaffermazione sognata e divenuta realtà.

Il suo romanzo è anche un’ode all’amore per la bellezza?

«Quando ho iniziato a lavorare sul personaggio protaginista del racconto ho subito realizzato che sarebbe stata la storia di una sopravvissuta. Lei ama la bellezza e la trova dappertutto. Anche se ci sono persone crudeli che cercano di distruggerla non ci riescono in virtù del suo amore per ciò che la circonda. Marie ama il suo grande naso e il suo grande mento perché sono la memoria dei suoi genitori».

L’atto del guardare è per Marie anche memoria e costruzione di senso?

«E’ assolutamente vero. Quando ho finito l’università sono andato a lavorare al museo delle cere di Madame Tussauds a Londra. Tutti i giorni a fine turno andavo a vedere la sua riproduzione di cera: una vecchina con un naso tremendo, un mento pronunciatissimo che ti fissa come uscita da un quadro di Bruegel. Piccola e minuta, emana la sensazione che sia lei il capo: tutte le statue di cera devono rispondere a lei. Un orgoglio che deriva dalla sua storia. Il guardare è stato un atto di sopravvivenza: anche nella cucina in cui era rinchiusa, trovava la bellezza. Se avesse smesso di trovarla probabilmente sarebbe morta».

Per scrivere questo romanzo ci sono voluti 15 anni, in cui lei è cresciuto e i personaggi del libro con lei. Le uniche cosa immutabili sono le statue di cera. Come ha vissuto questo periodo?

«Ci sono alcuni libri che si comportano molto bene quando li scrivi; questo, al contrario, è stato un’esperienza traumatica. L’ho abbandonato dopo 5-6 anni: mi stava rovinando l’esistenza. Ho scritto nel frattempo una trilogia di libri per bambini e questo mi ha permesso di ritrovare l’amore per la scrittura. Amo lo spunto che lei ha colto: lo scarto che c’è tra la cera che resta immutabile nel tempo e me che non sono più la persona che ero. Nei miei romanzi precedenti ambientavo le storie in luoghi immaginari. In questo caso ho dovuto accettare il fatto che Parigi esiste e che la Rivoluzione francese sia avvenuta davvero e anche questo ha richiesto tempo per la ricerca. Più difficile è stato cogliere la voce di Marie. Mi sfuggiva la sua grande generosità di spirito».

Chi è stata Madame Tussauds?

«Un esempio di trionfo contro qualsiasi avversità. Una donna che non molla mai e che riesce ad avere un successo strepitoso».

Cosa c’è di vero in questa avventura nella vita reale di madame Tussauds?

«Un altro dei motivi per cui amo Madame Tussauds è presente nella sua autobiografia: amava esagerare. Aggiungeva elementi di fantasia e io mi sono sentito autorizzato a fare lo stesso. La storia che ho scritto è ambientata storicamente ma è uno favola, seppure con toni molto scuri. A Versailles esiste un almanacco con tutti i servitori che ci hanno lavorato. Il suo nome non c’è, ma non sappiamo se semplicemente il suo nome non risulti. Non sappiamo se sia vera la storia dell’armadio, che comunque simboleggia il fatto che per tutta la vita è stata trattata come un oggetto, privata della sua umanità».

Il rapporto tra il dottor Curtius e Marie: lui le insegna tutto e dopo quasi la distrugge». Come funziona?

«Il dottor Curtius si occupa di anatomia. Il corpo umano è un protagonista del romanzo, sviscerato e analizzato da Curtius che è incapace di avere un rapporto con la sua dimensione umana. Ci troviamo in una casa piena di statue di cera dove tutto va al contrario. Come fossero giornalisti, osservano e riportano facendo statue di cera, ma non sono mai veramente coinvolti. Assistere e riportare un evento senza interagire potrebbe essere una fonte di colpa. Marie lascia la Francia e si porta dietro casse piene di teste mozzate: mostra a tutti immagini truculente di quello che sta avvenendo, che è atroce. Bisogna riflettere anche su questo particolare aspetto, che forse vale anche per i giornalisti».

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