La Nuova Sardegna

«Con Angioy nasce l’autonomismo sardo»

di GIACOMO MAMELI

Da domani in edicola il volume sulla vita del protagonista della rivolta antifeudale in Sardegna scritto da Omar Onnis

05 dicembre 2019
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A dire che con Giovanni Maria Angioy (Bono 1751-Parigi 1808) «ha inizio il movimento autonomistico in Sardegna» e che tutto avviene «come prodotto delle idee della rivoluzione francese che erano poi quelle dell’Illuminismo» è uno studioso a tutto tondo, nato a Guspini nell’anno ufficiale dell’Autonomia,1948) e che conosce molto bene la storia dell’Europa dopo aver insegnato per dieci anni alla Sapienza di Roma. Parla Luciano Marrocu, docente anche all’Università di Cagliari e scrittore, studioso tra i più acuti del movimento laburista. Suo il libro del 1992 “Il salotto della signora Webb. Una donna nel socialismo inglese”. Quest’anno, con Laterza, ha pubblicato “La sonnambula”, pagine esemplari che tratteggiano un’Italia «inconsapevole dei rischi e delle difficoltà, salvo risvegliarsi sull’orlo del precipizio». La cronaca di oggi docet. Tra altre opere di successo, aveva già scritto, per Aipsa Edizioni nel 2014, il libro “Procurade ’e moderare”, con sottotitolo “Racconto popolare della Rivoluzione sarda”, dove la figura di Angioy domina le 174 pagine. Angioy come uno dei Sardi Patres, un innovatore.

«La sua figura è complessa. Ma, allo stesso tempo, testimonia che la Sardegna è là, in sintonia col restante mondo, dimostra che non è isolata ma pronta ad assorbire, a far sue, le idee che circolano oltre le Alpi. Il contesto è quello del 1793, l’anno in cui la Sardegna è oggetto del disegno delle neonata repubblica francese. Le vele delle barche francesi – vascelli, fregate, corvette e bombardiere – si affacciano su Cagliari in quell’inverno, nel momento in cui a Parigi viene tagliata la testa al Re».

Scatta la protesta. Lei dice che le compagnie miliziane di Cagliari non sono forse il “popolo in armi” che alcune fonti enfaticamente disegnano.

«Ma c’è la fiammata. La Sardegna comincia a prendere coscienza politica vera. Chi ha sempre giudicato la nobiltà sarda torpida e indolente non può che stupirsi della grande energia che riesce a dispiegare in questa occasione. La minaccia francese mette a nudo insufficienze e contraddizioni del governo viceregio. Non solo riaccende vecchi risentimenti ma apre anche inediti spazi di iniziativa. Emerge il senso di frustrazione che l’aristocrazia sarda – o almeno parte di essa – ha accumulato nei confronti del potere piemontese. Ma è innegabile che l’aggressione francese rompa la torpida quotidianità nella quale l’aristocrazia sarda vive adagiata da secoli».

In questo clima emerge la figura del leader: arriva da un paese di zona interna.

«Certamente. Avviene nel momento che potremmo chiamare dell’orgoglio nazionale sardo. Angioy – che poi diventerà Alternos – è il prodotto di due spinte: nasce a Bono da una piccola famiglia sufficientemente benestante. Si laurea ma a Cagliari non passa il primo concorso per l’Università e inizia la carriera da funzionario. Emerge subito come figura politica nel contesto di quegli anni attorno al ’93. Sono gli anni in cui si sviluppa il sentimento autonomistico che si esprime con le cinque famose domande al Re formulate per avere più autonomia».

Domande che vengono respinte al mittente da Vittorio Amedeo terzo.

«Aveva ferito la sostanza. Ma anche i modi, con la delegazione degli Stamenti partiti da Cagliari costretta ad attendere mesi a Torino senza essere ricevuta dal sovrano che dà la risposta direttamente al vicerè. Per non parlare delle reazioni dei piemontesi residenti a Cagliari che canticchiano irridenti che mai e poi mai se ne andranno dalla Sardegna».

A Cagliari si formano tre club di ispirazione democratica.

«Ne parla nel 1794 Francesco Sulis: un club, animato dall’avvocato Salvatore Cubeddu, era nella località di Palabanda; un secondo faceva capo all’abate Simon e aveva sede nel Collegio dei Nobili; il terzo si radunava proprio nella casa di Giovanni Maria Angioy e comprendeva alcuni dei protagonisti della vita politica cittadina. Nasce l’esigenza di quello che venne chiamato un novello ordine di cose».

E a Sassari le cose non vanno per il meglio.

«Ribollivano diverse regioni dell’isola. A Sassari viene inviato proprio Angioy per ristabilirvi in via definitiva pace e legalità anche se non si capiva il senso dell’allontanamento da Cagliari. Ma fu lo stesso Angioy, con mossa diplomatica, a dire che si prestava “con tutto piacere a quanto potrebbe contribuire al Regio Servizio”. Era sì Alternos ma non aveva la pienezza dei poteri. Il fatto è che dal 13 al 28 febbraio si svolge una sorte di marcia trionfale nel corso della quale echeggiano le note di Su patriotu sardu a sos feudatarios, inno antifeudale per eccellenza di Francesco Ignazio Mannu».

Quasi la nostra Marsigliese.

«Che nasce pochi mesi prima del gennaio 1793. Ormai c’erano tutti i temi della Rivoluzione: la denuncia dell’oppressione baronale nei confronti dei vassalli, l’invettiva contro i piemontesi, la rivendicazione dei privilegi sardi. Nell’inno, dal tono sommesso del Procurade, si passa a quello vigoroso del Declarada est già sa gherra contra de sa prepotenzia. L’attraversamento da Cagliari a Sassari è significativa, è la nascita della politica moderna in Sardegna. Nei villaggi Angioy trova i suoi partigiani che sono gli antesignani dei progressisti che verranno. Arriva a Sassari ed è la Rivoluzione, i nobili feudatari scappano. Esplode la protesta, l’insofferenza per chi comanda venuto dal mare. Il dipinto di Sciuti nel Palazzo della Provincia di Sassari ne dà un giusto rilievo perché racconta la trasformazione della Sardegna».

Qui si forma una leadership.

«Angioy è più radicale di altri pur non essendo né un Robespierre né un Lenin. In quell’imperativo Procurade c’è saggezza e progetto politico».

Ma poi le cose precipitano all’improvviso.

«C’è lo scontro sul Tirso. E Giovanni Maria Angioy si scioglie come neve al sole».

Perché?

«Perché si è messo contro gli Stamenti di Cagliari che in quel momento sono il vero governo della Sardegna, Deve battere in ritirata. Va a Torino dove non viene nemmeno ricevuto dal Re. Poi c’è la Francia, la sede è Parigi dove avrà come riferimento una comunità di sardi».

Come definirebbe Angioy? «Proprio come è stato definito: un hombre vertical che non si piega. Angioy resta un pilastro della nostra storia: con lui ha inizio il movimento autonomistico e dimostra che la Sardegna era dentro le cose europee. Si inizia nel 1793: e non mi ritengo un predicatore di primati sardi che non esistono».

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