Sironi, il genio di un gigante del Novecento
Da venerdì sarà in edicola il nono volume della nuova serie della collana “Storia di Sardegna” dedicato all’artista
È dedicato a Mario Sironi il nono volume dei “Grandi personaggi”, la nuova serie della collana “Storia di Sardegna” che la Nuova propone ai suoi lettori. Il libro sarà in edicola - a 8,60 euro oltre il prezzo del giornale, a partire da venerdì prossimo, 13 dicembre.
Sironi nacque a Sassari nel 1885. Si trasferì giovanissmo a Roma per gli studi universitari, ma dal 1913 visse a Milano, dove morì nel 1961. All’inizio del suo percorso artistico fu molto vicino al Futurismo, ma a partire dal primo dopoguerra fu tra i più convinti sostenitori dell’esigenza di un ritorno all'ordine. Fu allora che svoltò verso uno stile metafisico segnato da un’essenzialità formale di gusto arcaico. Tra i promotori del Gruppo del Novecento (1925) e autore del “Manifesto della pittura murale” (1933).
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A Roma abbandonò presto gli studi d’ingegneria per dedicarsi alla pittura. Divenne amico di Umberto Boccioni, ma fu soprattutto l’incontro con Giacomo Balla a indirizzare le sue prime ricerche, di matrice divisionista, verso una definizione pittorica più sintetica e tendenzialmente monocromatica. Per un periodo non breve soffrì di crisi nervose, dalle quali si riprese solo nel 1913. Visse in quegli anni in Francia e in Germania dipingendo poche opere, prevalentemente ritratti e autoritratti, di taglio duro, espressionista, dai grumosi tessuti cromatici. Nel 1913 a Milano aderì al movimento futurista, orientandosi tuttavia verso soluzioni di un costruttivismo sintetico. Conclusa la prima guerra mondiale, si stabilì definitivamente a Milano dove, nel 1920, cominciò a collaborare come illustratore con il Popolo d’Italia (presso il quale, dal 1928, svolse anche la funzione di critico d’arte) e presentò i primi paesaggi urbani (“Aereo e città”, 1919; “Il tram”, 1920; “Periferia industriale”, 1922). Nel 1922 fu tra i promotori del Gruppo del Novecento, all’interno del quale, dal 1925, assunse un ruolo di primo piano. Fu teorico di un’ideale unità delle arti in funzione etica e civile, mentre la sua tendenza alla rappresentazione monumentale trovò piena espressione nella pittura murale. Autore nel 1933 del “Manifesto della pittura murale”, sperimentò tecniche diverse, dalla pittura murale vera e propria al mosaico, al bassorilievo, dedicandosi prevalentemente a grandi cicli decorativi. A partire dal secondo dopoguerra, isolato e provato dalla morte della figlia amatissima, tornò alla pittura da cavalletto dipingendo opere d’intensa espressività che giungono progressivamente alla disgregazione della forma.