La Nuova Sardegna

Mario Segni: mio padre, un grande riformista

di GIACOMO MAMELI
Mario Segni: mio padre, un grande riformista

«La legge sulla piccola proprietà agraria aiutò una fascia debole della società». «Il Piano Solo? Montatura mediatica»

18 dicembre 2019
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Per due anni ministro della Pubblica istruzione, una mattina di sole e vento del maggio 1953 Antonio Segni era arrivato a Lanusei. Nel piazzale con vista su monti, mare, stagni, valli e fiumi dell'istituto salesiano, era stato accolto dal direttore-mito don Giuseppe Perino, da tanti democristiani ogliastrini e dalle centinaia di studenti di quel “collegio” che, dalla fine dell'Ottocento, aveva contribuito a spezzare l'isolamento culturale di una delle regioni più arretrate dell'Italia.

A Lanusei, per medie e ginnasio, arrivavano alunni dal Sulcis alla Gallura. Quella mattina, Antonio Segni (di cui La Nuova propone da venerdì un libro curato da Elisabetta Paraboschi) si era rivolto al pubblico parlando di “una scuola che dovete essere orgogliosi di frequentare, so che è severa ma vi preparerà alla vita. È l'istruzione uno dei problemi che tutto il Paese, a partire dalla Sardegna, deve risolvere”.

IL MONDO GEORGICO. Mariotto Segni, 80 anni, docente universitario, un quarto di secolo fa uno dei politici più potenti d'Italia per la sua intuizione referendaria volatilizzata in un battibaleno, figlio dell'ex presidente della Repubblica che aveva dato gli incarichi di formare il governo ad Amintore Fanfani, Giovanni Leone e Aldo Moro e che era stato due volte presidente del Consiglio, ricorda: “L'interesse di mio padre per la scuola era alto anche se la sua prima emergenza, per la Sardegna in particolare ma anche per il resto d'Italia, era rendere moderna e sociale l'agricoltura. Veniva dal mondo della scuola, aveva insegnato in molti atenei, ma nel suo ruolo successivo di ministro per l'Agricoltura sentiva forte l'interesse per la campagna. Anche lui veniva dal mondo georgico”.

Propose, cercando di attuarla, la riforma agraria. “Una riforma che aveva discusso a lungo con Alcide De Gasperi. Mio padre riteneva che il primo obiettivo fosse quello di un cambiamento profondo delle condizioni sociali e umane dei contadini, dei pastori, pensava che occorresse risolvere, in primo luogo, il problema del possesso del bene-terra. Ma non mancarono divergenze sia con De Gasperi che con l'ambasciatore americano, visto che la riforma era sostanzialmente finanziata con i fondi del piano Marshall annunciato ad Harvard nel 1947 dal segretario di Stato Usa, appunto George Marshall. Il direttore per l'Italia, Andrew Fellerback, aveva dato un'impostazione tecnica, metteva in primo piano le bonifiche da fare, la visione era certo rispettabile nonché economicistica, era sostenuta tra gli altri dall'economista Arrigo Serpieri dell'università di Firenze”.

I GRANDI ESPROPRI. Suo padre voleva garantire la proprietà della terra a chi la lavorava, partendo in primis dagli espropri. “Era stata una lotta sul primato o dell'umanità, della socialità o dei numeri. Mio padre ebbe divergenze perfino sul modello di casa colonica che doveva essere realizzata nei campi: per gli americani, per la scuola-Serpieri-Fellerback, doveva essere una sorta di rifugio attrezzi, una casa molto ma molto essenziale, più un capanno che un'abitazione. Antonio Segni voleva invece che i contadini, gli allevatori, avessero una casa dotata delle stesse comodità di cui godevano tutti nella propria casa. Poi ci furono le rivolte al Sud, le occupazioni per le terre, la cronaca registrava frequenti scontri tra polizia e contadini con tanti morti. Il Mezzogiorno ribolliva di rabbia. Ma comunque si partì, ci furono espropri per 750 mila ettari. Però, certo, la riforma della piccola proprietà agraria non partì come sognava mio padre. Ma quello, nel campo agricolo, fu l'intervento più importante nella storia del dopoguerra italiano, forse il primo segnale d'attenzione a una delle fasce più deboli della società”.

FELICITÀ A STINTINO. I ricordi di suo padre: il più lieto, il più triste. “Il più gioioso è senz'altro mio padre quando veniva a trovarci d'estate nelle nostra casa a Stintino, anche se non scendeva volentieri al mare, difficilmente passeggiava in spiaggia, preferiva di gran lunga la campagna alle porte di Sassari, al Latte Dolce, dove trascorreva il numero maggiore di ore di relax. Il più triste? Certamente il periodo della malattia che lo ha costretto a lungo a letto nella nostra abitazione romana. Per sette anni è stato quasi sempre allettato per una trombosi. Pur essendo rimasto sempre lucido, aveva perso l'uso della parola. La sofferenza è stata atroce”.

Del periodo storico di Antonio Segni molti vedevano in suo padre un conservatore, in Aldo Moro un progressista. “Difficile definire conservatore uno che ha voluto espropri per 750mila ettari di terra. In un'intervista, lo storico Agostino Giovagnoli diceva – citazione testuale – che Segni non sopportava Moro ma lo rispettava. Erano diversissimi: mio padre uomo d'azione, Moro di pensiero. Mio padre era un conservatore liberaldemocratico, cosa che non si addice ai conservatori inglesi. Moro voleva l'allargamento dello spazio democratico, mio padre non avrebbe aperto ai comunisti ma neanche ai socialisti, era un convinto degasperiano. Credo che, a posteriori, avesse ragione mio padre”.

VALORIZZARE LA DEMOCRAZIA. Antonio Segni è legato al Piano Solo, golpe col generale Giovanni De Lorenzo, 371 intellettuali non proni al potere da spedire a Capo Marrargiu, eccetera.

“Per me il cosiddetto Piano Solo è stato una formidabile montatura mediatica negli anni precedenti il ribollente '68. Quel numero era lo stesso previsto nei piani di ordine pubblico del ministero degli Interni elaborati anni prima. Ci si è dimenticati di tutti i piani che vengono previsti in casi di gravi sommovimenti”. Su L'Espresso Eugenio Scalfari diceva e documentava cose diverse. “Nonostante l'exploit scalfariano, mio padre ha vinto sul piano storiografico, il giudizio su Antonio Segni è di profonda stima” .

Lei ha creato una Fondazione intestata a suo padre. Perché? “Per ricordarne la memoria. È stata costituita a Sassari il 3 febbraio 1988, punta alla valorizzazione della democrazia in Italia e oggi ce n'è bisogno. È nata per ricordare l'attività scientifica e di statista di un padre dell'Unione Europea, di studioso del diritto, attento allo sviluppo delle regioni meridionali. Si avvale di collaborazioni scientifiche, contratti di ricerca e borse di studio da assegnare a giovani e meritevoli studiosi delle Università di Cagliari e Sassari”.

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