Addio al couturier Emanuel Ungaro
Lo stilista, di origini italiane, è morto a 86 anni nella sua casa di Parigi
23 dicembre 2019
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PARIGI. Addio a Emanuel Ungaro, il couturier che «amava le donne», come lui stesso precisava in un’intervista. Ungaro, 86 anni, malato da tempo, è morto sabato sera nella sua casa di Parigi. Una fine senza clamore, circondato dall’affetto della famiglia. Dalle passerelle si era allontanato già anni fa. Una decisione presa anzitempo nel 2004, la stessa che nel 1968 venne annunciata dal couturier spagnolo Cristobal Balenciaga, dal quale il giovane Emanuel aveva fatto l’apprendistato e di cui era stato l’allievo preferito. Pur essendo nato nel 1933 in Francia, Ungaro aveva sangue italiano nelle vene. Sue padre era un sarto pugliese, di Francavilla Fontana, fuggito oltralpe per scampare al fascismo. La moda era quindi nel dna del piccolo Emanuel che già a pochi anni ricevette in dono una macchina da cucire. Ma il suo legame con l’Italia venne rinnovato soltanto dopo il suo addio alle moda. Ungaro trascorse i lunghi periodi a Roma, dove aveva acquistato e restaurato un palazzo cinquecentesco.
In un’intervista al settimanale Paris Match dove svelò la sua decisione di lasciare l’haute couture, Ungaro aveva ironizzato dicendo di non volere «statue e musei» dedicati a lui. «Mi sento vivo», aveva affermato, e «guardo avanti». Ma il suo addio alla moda fu definitivo. Aveva fondato la sua maison nel 1965 a Parigi, «fiero di essere francese» e riconoscente nei confronti del Paese che aveva accolto suo padre sarto «in fuga dalla dittatura di Mussolini. L’Italia – affermava – è bella, vibrante e mi coinvolge. Ma la mia città è Parigi. L’Italia sarà il mio scalo, la mia dolce vita».
In un’intervista al settimanale Paris Match dove svelò la sua decisione di lasciare l’haute couture, Ungaro aveva ironizzato dicendo di non volere «statue e musei» dedicati a lui. «Mi sento vivo», aveva affermato, e «guardo avanti». Ma il suo addio alla moda fu definitivo. Aveva fondato la sua maison nel 1965 a Parigi, «fiero di essere francese» e riconoscente nei confronti del Paese che aveva accolto suo padre sarto «in fuga dalla dittatura di Mussolini. L’Italia – affermava – è bella, vibrante e mi coinvolge. Ma la mia città è Parigi. L’Italia sarà il mio scalo, la mia dolce vita».